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Gastaldo G., Ottobre M., Grassi C., Ciccotosto A.
Miti, Dante, Freud … e Schultz con il Training Autogeno
L’umanità tende a sanare il proprio “difetto originale”
Colpevole o vittima?
Possiamo ipotizzare che ci sia un grave handicap all’origine della vita infelice, che gli uomini troppo spesso si infliggono o infliggono ad altri, pur nel patetico tentativo di perseguire la felicità propria e altrui. (vedi epilogo del libro della collana Airda ed. Armando: Gastaldo G. Ottobre M.: “Una strada per il centro del cervello”).
Le leggi del nostro universo hanno generato l’uomo, organismo in evoluzione, il cui stadio evolutivo attuale, non definitivo, può contenere immaturità, le quali possono portarlo anche all’autodistruzione.
L’evoluzione dei mammiferi, fino all’Australopiteco (a cui appartiene la nostra progenitrice Lucy), si è realizzata in un centinaio di milioni di anni, e il cervello, in tale evoluzione, è arrivato ad un volume di circa 450/550 cc.
Dall’Australopiteco siamo giunti, in soli tre milioni e mezzo di anni, ai 1250 cc dell’uomo attuale e, tale aumento, è dovuto quasi esclusivamente allo sviluppo del neocortex (porzione - 90% - di corteccia cerebrale con sviluppo filogenetico più recente). Una maratona incredibile!
Purtroppo, il vero progresso non è solo questione di volume, ma di integrazione fra le parti.
Come non pensare che tale nuova struttura abbia avuto difficoltà nell’integrarsi perfettamente con le strutture preesistenti?
Il rimpicciolimento della mandibola non è andato di pari passo con una diminuzione di volume o di numero dei denti, portando al noto inconveniente di un dente che non trova posto! In una rapida evoluzione, possono essersi create strutture che a volte rappresentano vantaggi, ma altre volte svantaggi o addirittura pericoli per la salute.
Anche pensando al solo aumento del diametro del cranio, passando dall’Australopiteco all’uomo attuale, possiamo comprendere la difficoltà del nascituro di passare per il canale del parto. Nell’evoluzione, affinché il feto, con il volume del cranio così tanto aumentato, potesse passare attraverso tale canale, si sarebbe potuto strutturare un allargamento del bacino femminile; ciò in parte è avvenuto. Tuttavia un allargamento adeguato del bacino, quindi ancora maggiore, avrebbe comportato un troppo grande distanziamento delle teste dei femori, con la conseguente difficoltà alla deambulazione.
Sembra probabile invece (secondo un’ipotesi abbastanza condivisa) che la scelta evolutiva sia caduta nel determinare una nascita prematura a nove mesi, anziché a 12 o oltre. Così il cranio del nascituro, a tale stadio di vita intrauterina, ha una circonferenza ancora compatibile con una nascita senza problemi.
Questa immaturità comporta che i circuiti neuronali, alla nascita, non abbiano ancora raggiunto un sufficiente grado di maturità e quindi di stabilità, e pertanto siano estremamente predisposti a subire modellamenti dati dalla pressione delle esperienze nel mondo esterno.
I circuiti neuronali che supportano la paura, la rabbia, il lutto, la gioia, il disgusto, il senso di responsabilità, ecc., sono sottoposti all’azione plasmante di paure anche soltanto percepite, perdite importanti, danneggiamenti magari ripetuti. Alle volte tali eventi non sono proporzionati alle capacità di sopportazione del neonato. Pertanto i circuiti neuronali, che sottendono gli stati emotivi basilari e le reazioni istintive, possono deformarsi e, nel prosieguo del tempo, dare risposte alle evenienze della vita non congrue, sproporzionate o completamente errate, fino a produrre danno a sé ed agli altri. Tali stati emotivi possono essere più che mai ingestibili.
Tuttavia questa immaturità del cervello del neonato, e pertanto questa facilità ad essere plasmato dalle esperienze, comporta anche un vantaggio, che è caratteristico dell’essere umano, cioè la capacità di adattarsi ad ogni ambiente, sia fisico che psichico.
Un recente studio mette in risalto il fatto che i bambini, di qualsiasi etnia o di luogo geografico, nascano con le stesse potenzialità e caratteristiche di base (vedi studio INTERGROWTH – 21ST), ma poi l’opera plasmante dell’ambiente porta ad una tale differenziazione del modo di porsi nella vita, da rendere estremamente difficile la comprensione di comportamenti, stili di vita, mentalità tra individui di paesi diversi.
Possiamo quindi ipotizzare che, a causa di questo rapidissimo ed enorme sviluppo del neocortex, sia stato impossibile per le strutture del cervello delle specie precedenti, implicate nelle memorie antiche e nelle emozioni, integrarsi e armonizzarsi con le nuove strutture e soprattutto con la corteccia prefrontale. Quest’ultima è quella parte del neocortex che assolve anche al compito di modulare, nella consapevolezza, le nostre spinte emotive e le dinamiche inconsce.
Probabilmente il Sapiens sarebbe veramente tale, e non solo “sedicente”, se ci fosse una buona integrazione fra strutture sottocorticali e neocortex prefrontale.
Tale insufficiente integrazione comporta il sentirsi (a volte anche consciamente, ma più spesso in modo inconscio) in balia di un quid potente che ci travolge. Ciò può essere la causa di profonda insicurezza in tutti e in modo più marcato in alcuni; quindi costituire quello sfondo di paura che per molti si esaspera in compensi incongruenti.
Tale paura diventa matrice di tutte le strategie inconsce messe in atto per compensarla; avidità, invidia, gelosia, egoismo, bisogno di dominare e di controllare gli avvenimenti, gli altri e la vita stessa; la ricerca di un’impossibile immortalità ne è conseguenza. Ci troviamo ad assistere a distruttività, estremismi e guerre sia nel micromondo dei rapporti interindividuali, sia nel più ampio ambito dei conflitti sociali.
Sembra pertanto che l’eventuale “peccato originale” sia preceduto da un “DIFETTO ORIGINALE”, difetto dovuto ad uno scatto evolutivo troppo rapido.
Probabilmente, sia la parte più profonda del cervello sia il neocortex sono orientati verso il favorire e il potenziare la vita in tutte le sue espressioni. Quello che fa difetto potrebbe essere un’incompleta armonia fra le varie parti.
Gli uomini, avendo comunque un cervello portentoso, hanno sempre cercato, in tanti modi diversi e soprattutto inconsapevoli, di rimediare a questa immaturità, a questa inadeguatezza di integrazione fra strutture cerebrali.
Questa ricerca si manifesta ad esempio attraverso la continua costruzione, elaborazione, e trasmissione di miti, leggende e fiabe. In queste produzioni dello spirito umano, sia nella costruzione che nel rimodellamento e trasmissione, c’è la coesistenza fra lo stato cosciente e l’inconscio, l’immaginario e la razionalità. Grazie a tutto questo accadono continue esperienze di collegamento tra neocortex prefrontale e strutture cerebrali più arcaiche.
Queste esperienze di funzionalità di strutture diverse collegate fra loro, stante la plasticità del cervello, portano a costruire sinapsi, - come ci dice la neurobiologia -, quindi connessioni e integrazioni fra strutture cerebrali di stadi evolutivi diversi: fra il così detto cervello del rettile quello del mammifero e quella parte tipica dell’uomo che è il neocortex, con la sua importante parte che è la corteccia prefrontale.
Anche nell’arte, in ogni processo creativo artistico, avviene questa integrazione. Essa si realizza, partendo dall’integrazione parziale, attraverso il costante e ripetuto impegno di realizzarne una migliore. Con continue esperienze, come fanno gli artisti, si maturano e si consolidano le sinapsi che collegano strutture (neocortex, strutture sottocorticali, emisfero destro ed emisfero sinistro).
Pertanto l’arte è anche un mezzo, un mezzo importante, forse il primo, attraverso il quale l’essere umano ha inconsciamente cercato di sanare il proprio “difetto originale”.
Artisti neolitici, Omero, Fidia, Tragediografi greci, Dante, Michelangelo, Leonardo, Shakespeare, Bosch - per nominare solo alcuni - in ogni epoca hanno attinto a piene mani , in piena coscienza, ai loro archetipi, ai loro simboli, al loro materiale onirico; hanno dato carta bianca al loro immaginario; hanno lasciato emergere in piena coscienza, e hanno espresso come regalo all’umanità, il loro personale inferno, purgatorio e paradiso, la loro strada di evoluzione, nella integrazione delle loro strutture cerebrali.
Nel presente anno 2021 ricorre il settecentesimo anno dalla morte di Dante, che è stato fra i più completi ed espliciti nel delineare il proprio viaggio di sviluppo e integrazione.
Questo nostro lavoro fa esplicitamente riferimento a lui.
Ci sono studi importanti sull’opera di Dante per quanto riguarda il suo cammino, e a loro rimandiamo; ne citiamo quattro, particolarmente significativi, in ordine di prima pubblicazione in lingua italiana.
Ognuno deve passare attraverso l’esperienza del proprio «inferno» se vuole cambiare qualcosa nell’atteggiamento verso la vita».
Pag. 23: «Nell’inferno veniamo a contatto con la persona, con l’ombra, con i vari aspetti dell’animus e dell’anima; nel purgatorio prendiamo coscienza della sintesi unificante degli opposti e, nel paradiso, delle istanze spirituali che portano all’unione finale col Principio (cioè Dio), proprio come nello Yoga orientale»
A Sigmund Freud l’umanità è debitrice per una delle più utili invenzioni che permette il miglioramento dell’essere umano. Si tratta delle associazioni libere; libere da un vincolo razionale. Nasce il lavoro psicologico su di sé moderno.
In piena coscienza, ad una parola si associa ciò che improvvisamente viene in mente o l’emozione che emerge, senza preoccuparsi che ci sia una spiegazione razionale.
Nelle associazioni libere la persona, in pieno stato di coscienza, lascia emergere contenuti inconsci e, nelle sedute di analisi, si allena ad usufruire e potenziare, sempre più facilmente e frequentemente questa capacità. È una continua creazione di sinapsi fra neocortex e strutture sottocorticali.
Freud ha reso fruibile a tutti, attraverso una tecnica, il mettere in atto una capacità naturale – contemporaneità coscienza/inconscio - che tuttavia solo alcuni hanno a portata di mano spontaneamente – esempio fondamentale Dante nella divina Commedia.
Dopo Sigmund Freud, Carl Gustav Jung in particolare, Robert Desoille, e altri, hanno reso possibile l’affinamento di questa capacità, con altre particolari modalità.
A I. H. Schultz il merito di aver inventato un allenamento, strutturato, che la persona esegue quotidianamente in piena autonomia. (vedi libri della collana Airda ed. Armando). Schultz basa il suo metodo sull’allenamento; l’importanza di questo si riscopre oggi con le acquisizioni della neurobiologia che dimostra l’importanza della ripetitività di esperienze nella costruzione e potatura di sinapsi e quindi nel modellamento e rimodellamento dei circuiti neuronali del cervello.
Nel T.A. Basale, quando non mistificato a mero mezzo di rilassamento, ci si allena all’ascolto della propria realtà organismica completa; ci si allena a lasciare che accada, all’accettare ciò che emerge spontaneamente senza paura e senza dare giudizi; ci si allena quindi a lasciare emergere, in piena coscienza, ciò che è contenuto nella parte più profonda del cervello/psiche.
(vedi pp.19 e seguenti in Gastaldo G Ottobre M. (1994 – 2008): Psicoterapia Autogena in quattro stadi – l’appuntamento con se stessi, Ed Armando, Collana Airda, Roma.
In questo allenamento si formano e consolidano strutture neuronali di integrazione fra strutture corticali e sottocorticali del cervello. Si realizza un processo analogo a quanto avviene in una prassi di produzione artistica, e nell’opera collettiva di costruire e tramandare miti, leggende e favole.
Così allenate le persone, nelle sedute di diversi tipi di Training Autogeno Avanzato, lasciano emergere spontaneamente, in piena coscienza, sequenze di associazioni libere, di simboli espressi e integrati con elementi coscienti. Soprattutto lasciano emergere, in piena coscienza, vissuti di un contesto immaginativo inconscio,. Tali vissuti sono il frutto dell’elaborazione che il cervello ha fatto di tutte le esperienze, dalla vita intrauterina in poi. Si creano continuamente collegamenti sinaptici. (vedi in particolare il libro: Gastaldo G. Ottobre M. (2019): Una strada per il centro del cervello – un seno con le spine, Ed Armando, collana A.I.R.D.A., Roma).
Nel 1987 è stato pubblicato un libro (che ora verrà ripubblicato in e book Ed. Armando, collana Airda) Gastaldo G., Ottobre M.: Nel Labirinto con il filo d’Arianna - lo strutturarsi delle vie dell’energia nell’età evolutiva, Ed Piovan, Abano Terme (PD).
Senza che ce ne fosse l’intenzione, è stato seguito lo schema: Inferno, Purgatorio, Paradiso. Ciò è comprensibile in quanto questa è la sequenza naturale a cui ogni essere umano spontaneamente aderisce, quando non fa opposizione alle leggi della vita inscritte in lui, nel suo DNA.
Nel libro, attingendo all’archivio Gastaldo/Ottobre, in cui sono depositati migliaia di vissuti in stato autogeno, sono stati raccolti centocinquantacinque vissuti di quarantadue soggetti.
In tali vissuti si esprimevano importanti esperienze avverse, dei primi anni di vita, che avevano bloccato la normale evoluzione verso una vita piena.
Questi blocchi avevano incatenato le persone in un ‘Inferno’. Man mano, nello svolgimento dei vissuti in piena coscienza i blocchi venivano superati. Ciò durante sedute di Training Autogeno Avanzato, sedute che sono state chiamate: “T.I.A.A.” cioè Terapia Immaginativa Analitica Autogena.
Le persone, dopo aver passato il loro ‘inferno’ in molte sedute, sfociavano nelle T.I.A.A. che abbiamo chiamato della ‘ripresa’ e della’ rinascita’ nelle quali si esprime il loro ‘purgatorio’ e il loro ‘paradiso terreno’.
Il parallelismo che, nei paragrafi successivi, faremo fra alcuni versi della Divina Commedia e alcune frasi delle T.I.A.A. vuole solo significare che, come Dante, anche ciascun soggetto passa attraverso analoghi stadi evolutivi. Tuttavia il viaggio di ogni uomo è personale e nessun passaggio può essere sovrapponibile a quello di altri; la somiglianza si può trovare nell’ambito di simbologie archetipe.
Ecco alcune piccole parti di vissuti riportati nel libro.
Come esempio di ‘inferno’ il frammento di seduta di una giovane universitaria
T.I.A.A. N° 19
“vedo me con codine, vestita con grembiulino azzurro… sono impiccata e penzolo … mi vedo poi in una bara … sdoppiata; una nella bara e una che corre nella stanza incurante dei topi …mi stendo dov’era la bara e fingo di essere morta … vedo mio padre che fa all’amore con me
Come esempio di ‘purgatorio’ riportiamo un frammento di T.I.A.A. della ripresa (N° 25), che parla della individuazione; la giovane donna ‘conquista’ la sua voce interna, il modo originale di esprimere se stessa.
T.I.A.A. N° 25 sogg. Femminile
“… E scopro che anche il mare ha una sua voce, un suo rumore. E così cerco di rispondere con la mia voce … prendo un po’ di terra in mano, e sento che anche questa fa dei rumori … L’acqua … Sono tutte voci e non meccanismi: sono voci interne, come la mia, ora… E anche la mia voce ha mille possibilità di suoni, di combinazioni ... È come qualcosa prima del linguaggio, è una facoltà, un suono… Allora prendo una barca e vado sopra il mare … e vedo che ci sono nuove terre … e tutto un mondo popolato di voci, da suoni, che è come un mondo per essere vivi … E tutto … vive, tutto ha una sua parte in un grandissimo concerto…”.
Come esempio di rinascita e armonia raggiunta, il ‘paradiso’ citiamo il frammento di
T.I.A.A. N° 27. Sogg. Femminile.
“Continuo a divertirmi molto serenamente ….. la serenità è molto adulta …. equilibrata, è chiara, è bianca, è come il sole, luminosa, come l’aria …. Mi immagino con questo alone di bianco, giallo, azzurro in tutto il mio corpo …. Cerco di non perderlo …me lo penso sempre addosso… continuo a vedermi così in giro per la strada con un viso molto sereno e sorridente.
Questa luminosità/serenità si trova nel paradiso dantesco dove c’è il binomio luce/beatitudine; luce che va dal bianco come “perla in bianca fronte”, alla luce dorata del cielo di Saturno a quella azzurra del cielo di Giove fino al bianco splendente incandescente dell’Empireo.
E ora un sogg. maschile:
T.A.A.A. Training Autogeno Avanzato Analitico N° 14
“Ora la sfinge diventa mia madre, mi tiene in braccio, mi guarda dolcemente, siamo tutti e due racchiusi in un sacco amniotico trasparente, galleggiamo nello spazio verso un infinito di stelle”
Egli ricorda e commenta, tutti i vissuti in cui rievoca, in modo simbolico, le terrificanti lotte con la figura materna.
“il nostro è stato un atto doloroso e faticoso, portato avanti in collaborazione; tutti e due abbiamo sofferto per creare una nuova vita, è una sensazione nuova, diversa, matura”.
Certamente la Divina Commedia di Dante è un altro mondo rispetto ai nostri T.I.A.A.
Il Sommo poeta possiede una immensa capacità naturale immaginativa (capacità immaginativa che nelle T.I.A.A. è frutto di un preciso allenamento) che, già di per sé, è in grado di creare sinapsi fra strutture cerebrali in partenza non perfettamente integrate.
Ma Egli coniuga quest’ultima con un’altra immensa capacità cioè quella artistica. Quest’ultima è anch’essa in gran parte dote naturale, ma è anche frutto di enorme lavoro di ricerca della perfezione.
Dante crea un’opera inimitabile: La Divina Commedia, facendo un lavoro di crescita personale che regala poi all’umanità, per incoraggiare tutti noi a tendere a meritarci, almeno un poco, l’appellativo di ‘sapiens’.
Dante è il sommo ‘Eroe’, ma …
Tornando dalle sfere celesti, dove risiede Dante e il suo paradiso, alla nostra realtà terrena aggiungiamo qualche vissuto (nelle T.I.A.A.), nell’intento di descrivere qualche tentativo dei nostri eroi per giungere, anche se non in ‘paradiso’, almeno a rivedere le stelle.
Nell’epilogo del libro [Gastaldo G. Ottobre M. (2008): Il Training Autogeno in diretta -si aprono nuovi orizzonti, pagg. 144/148. Ed. Armando, Collana Airda, Roma] sono stati chiamati ‘eroi’ i pazienti che fanno un lavoro profondo su se stessi. Ciò perché i mitici eroi sono quelli che ci vengono descritti come figli di un dio e di un mortale (e pertanto rappresentano ciascuno di noi, sono cioè un organismo con due facciate una psichica ritenuta figlia del cielo e una corporea ritenuta figlia della terra), ma, gli eroi, per essere consacrati tali - tutti indistintamente quelli della mitologia greco romana e non solo e anche Dante -, vanno a ‘visitare’, a ‘impossessarsi’ del mondo degli inferi.
Per l’umanità l’eroe, per essere considerato tale, deve possedere interamente se stesso, compresa quindi la parte sotterranea, inconscia.
Vi presentiamo ora una eroina che tuttavia è rimasta intrappolata nel proprio ‘inferno’. (evenienza, questa, successa anche all’eroina sumerica Inanna, la dea regina del cielo e della terra, quando era andata a conquistare la sua parte sotterranea).
Tale nostra eroina potrebbe essere collocata fra gli ignavi.
Alla parola ‘ignavi’ di solito si dà un significato che è frutto di una mentalità giudicante; dai vocabolari – uno a caso - Devoto Olli: imperdonabilmente indolente o vile di fronte alle umane responsabilità.
Tuttavia, dal punto di vista psicopatologico, ci accorgiamo che quasi sempre si tratta di persone che possiamo definire: “borderline”. Termine questo che, inteso nell’accezione più recente, sta ad indicare persone che si mantengono ai bordi della vita e cioè non entrano in essa in quanto terrorizzati dai rischi del vivere, tra i quali primo di tutti il morire.
Nella nostra esperienza sono persone che agli albori della vita, nei periodi in cui enorme è la plasticità del cervello, in quanto è in piena formazione, hanno ricevuto, o hanno creduto di ricevere, gravissime minacce di vita – anche ad es. assenza di una figura materna stabile. Così, nel loro cervello, si sono improntati circuiti neuronali che costituiscono basi operative di automatiche e irrefrenabili reazioni di evitamento (di entrare nella vita).
Tornando alla nostra eroina, è successo quanto segue:
Dopo aver fatto il corso Base del T.A., e una quarantina di T.I.A.A., è arrivata ad un vissuto che per molte persone, anche con la sua stessa patologia, rappresenta l’inizio di una svolta decisiva.
Si tratta di uno degli otto meccanismi di armonizzazione più frequenti e più efficaci, che accadono nel Training Avanzato [vedi il libro precedentemente citato alle pagg 188/197: Gastaldo. G. Ottobre M. (2019).
Stiamo parlando della chiusura di una Gestalt, che lei non ha potuto (e non: “non ha voluto”) effettuare.
Si parla di “Gestalt chiusa” quando un bisogno fondamentale viene soddisfatto; Gestalt significa: forma completa. La Gestalt rimane invece aperta quando tale bisogno, in una finestra temporale particolare, non viene soddisfatto adeguatamente per cui, per tutta la vita, la persona cerca invano di soddisfarlo.
In archivio Gastaldo/Ottobre ci sono molti esempi in cui si ha una svolta decisiva quando in una T.I.A.A. il se stesso adulto dà al se stesso bambino ciò che gli era mancato. Avviene nell’immaginario la “chiusura della Gestalt” ovvero la completezza.
In questo caso la paziente, da neonata, aveva avuto esperienze vissute come angoscianti e terrificanti, tanto è vero che le avevano detto che nel suo primo anno di vita aveva continui pianti di disperazione.
(Non abbiamo la possibilità di riportare il vissuto, ma lo raccontiamo):
Nell’immaginario: lei, adulta, vede sé neonata disperata e nessun adulto presente va a prenderla e cullarla o va a vedere perché è angosciata. Non le viene assolutamente spontaneo, come di solito avviene per altri pazienti, di prendersi cura di quella bambina. La guarda disperata e, dopo aver deprecato che nessuno se ne prende cura, rinuncia a prenderla in braccio e se ne va sconsolata.
È colpevole di ignavia o è vittima di un circuito neuronale killer?
Se diamo per scontato il “libero arbitrio” dobbiamo tuttavia chiederci quanto di questo c’è in ciascuno di noi. Ai limiti: 1 o 99%.?
Dante: Inferno Canto III:
“Vidi e conobbi l’ombra di colui
Che fece per viltà il gran rifiuto”
……………
“Questi sciaurati che mai non fur vivi
Erano ignudi, stimolati molto
Da mosconi e da vespe ch’eran ivi”.
Dopo qualche tempo la paziente ha smesso di proseguire il lavoro psicologico. Rimase prigioniera nel suo ‘inferno’; tuttavia nella vita sempre tutto può accadere.
In ogni uomo possiamo trovare momenti di ignavia e, la consapevolezza di questo, dovrebbe essere vissuto come un frammento di inferno nella vita terrena e diventare moscone e vespa che ci pungola a superare questo momento di debolezza.
Un altro eroe era venuto, negli ultimi anni ottanta, all’età di 28 anni, per fare un percorso psicologico perché vittima delle proprie esplosioni di rabbia, che mettevano a rischio le relazioni familiari e la corretta educazione dei propri figli.
Dalle T.I.A.A. emerge nitido che esperienze di danneggiamento hanno reso ingestibile il circuito neuronale che sottende l’emozione rabbia; emozione forza vitale, inscritta nel nostro DNA, per stoppare i danneggiamenti; forza positiva quando è congrua e proporzionata alla propria finalità e non degenera in violenza, distruttività, sopraffazione, vendetta.
C’era in lui un nucleo che ha coagulato attorno a sé vissuti di danneggiamento. Tale nucleo si è costruito nella vita prenatale e perinatale. Infatti il paziente è nato post maturo di più di dieci giorni; era molto cianotico, al limite della sopravvivenza, immerso in un liquido amniotico ormai ‘melmoso’ e con il cordone ombelicale attorcigliato al collo.
È da notare che l’asfissia è una delle esperienze di danneggiamento più sconvolgenti e terribili.
Attorno a questo nucleo si sono coagulate altre esperienze di danneggiamenti avvenute nella prima infanzia, formando nell’insieme un ‘pacchetto di esperienze’ capace di deformare il circuito neuronale che sottende a tale emozione, e quindi stravolgere le finalità vitali dell’emozione ‘rabbia’.
Tutto ciò il paziente l’ha ricostruito quando sono emersi i vissuti dei quali riportiamo frammenti; solo allora si è ricordato di ciò che gli avevano detto della propria nascita e dei suoi primi anni di vita.
Riportiamo una seduta completa, incredibilmente breve; fa parte della seconda serie, fatta dopo una decina di anni dalla prima e dal corso di T.A. Basale (la prima serie era di una trentina di T.I.A.A. ed era servita per incanalare l’energia della sua rabbia in atti vitali costruttivi).
In questa che riportiamo, sintetizza alcune tematiche esposte nelle precedenti sedute: soffocato sotto acqua (in molte altre T.I.A.A), nero dentro l’utero, paralizzato, cianotico, melma, fango, rabbia, esplosione, acqua purificatrice.
Nella seduta: vengono lasciate emergere sensazioni antiche, registrate nell’amigdala, e nell’emersione, sono elaborate dalla corteccia prefrontale.
Possiamo notare nel vissuto: l’‘inferno’ con tentativi di sanare: ‘purgatorio’.
T.I.A.A. N° 13
“Vedo me piccolo, sembra di essere dentro l’utero, sono tutto nero, arrabbiato, la bocca piena di qualcosa che non mi permette di respirare, sembrano delle feci, qualcosa di schifoso che poi sputo, sono quasi immobilizzato, paralizzato, tutto nero. Sembro quasi un neonato handicappato e ci sono io grande che con un tubo cerco di aspirargli tutta la schifezza che quello piccolo ha in bocca per provare a farlo respirare. Riesco a tirargli via tutto quello lui aveva in bocca (chiusura di Gestalt) e lui dopo si riprende e mi abbraccia e quello che gli ho aspirato va in un contenitore trasparente e c’è tanta rabbia. Questo contenitore si spacca e la rabbia esce, è come una melma e va sul pavimento, allora io cerco di lavarla con una gomma per l’acqua e cerco di portarla fuori dalla stanza, ma anche fuori da me, dal mio corpo. Poi mi sento scivolare giù nel profondo e tutta la rabbia della melma mi copre, mi sovrasta, fa uno strato enorme che mi soffoca e che da liquido diventa tutto duro. Riesco a tirarmi fuori, distruggendo la parte solida e poi uscire, mi sento arrabbiato con la rabbia. Sono tutto blu, violaceo e ho una corda tutto intorno (cordone ombelicale causa della cianosi) e poi, sempre con molta rabbia, la spezzo e riesco a tornare di un colore normale. Ho paura di questa rabbia però sono confortato dal fatto che l’Io grande prende in braccio quello piccolo (nuova chiusura di Ghestalt) e sono tutti e due rosa, non più neri, e se ne vanno abbracciati. Basta”.
Nella Divina Commedia gli iracondi sono condannati a gorgogliare sotto l’acqua, nel limo, ingozzando fango come si può vedere dai versi qui di seguito riportati.
Lo buon maestro disse: «Figlio, or vedi
l’anime di color cui vinse l’ira;
e anche vo’ che tu per certo credi
che sotto l’acqua ha gente che sospira,
e fanno pullular quest’acqua al summo,
come l’occhio ti dice, u’ che s’aggira.
Fitti nel limo, dicon: “tristi fummo
nell’aere dolce che dal sol s’allegra,
portando dentro accidioso fummo:
or ci attristiam nella belletta negra’.
Quest’inno si gorgoglian nella strozza,
che dir nol posson con parola integra».
Così girammo della lorda pozza
grand’arco tra la ripa secca e’ il mezzo,
con gli occhi volti a chi del fango ingozza.
È interessante notare che la condanna immaginata da Dante è molto assomigliante alla genesi dell’incapacità di gestire l’ira nel nostro paziente!
Comunque, qualsiasi sia la genesi dell’incapacità di gestire l’ira in modo costruttivo, con Dante possiamo dire che, quando soggiacciamo a questa, e questo può succedere a tutti, ci sentiamo e siamo soffocati, anche fisicamente – collo e volto congestionati quasi cianotici –, dalla melma che essa è. L’ira soffoca e consuma ogni nostra energia volta a costruire rapporti di amicizia e di amore.
La condizione ‘infernale’: “lo incendio” è messa in risalto dal frammento di T.I.A.A. successivo della stessa persona:
Divina Commedia, Inferno, canto XIV:
“Chi è quel grande che non par che curi
Lo’ ncendio sì che la pioggia non par che ’l maturi?”
……………
“O Capaneo, in ciò che non s’ammorza
La tua superbia, se’ tu più punito:
nullo martirio, fuor che la tua rabbia,
sarebbe al tuo furor dolor compito”
T.I.A.A. N° 14
“Vedo delle fiamme, un fuoco alto che brucia dei bambini, quasi neonati; sono bambini che piovono dall’alto e che vengono bruciati dalle fiamme e sono tutti me stesso che però sembrano malformati, piuttosto che cattivi. Poi questi corpi carbonizzati sono io ad appenderli su un filo e li metto in mostra come in serie come se volessi eliminare il brutto che c’è in me. Vedo poi un’esplosione come una bomba che inghiotte anche me, mi fa in mille pezzi, è un’esplosione di rabbia”.
Eppure questo bagno di fuoco e il martirio ‘rabbia’ (è come ‘martirio’ che vive le proprie esplosioni) lo maturano! Il fuoco lo vive come distruzione di ciò che è male, e quindi come purificazione.
Infatti più avanti, nella stessa T.I.A.A., accade uno dei meccanismi di guarigione – “recupero di esperienze positive” che fa ritrovare fiducia e permette di operare per la propria salute -:
“Poi mi vedo sulla bambagia …. E’ tutto bianco, tutto morbido quasi il mio corpo scompare dentro questo cotone …. Faccio un buco nel cotone in modo che la rabbia possa respirare … quasi che calma e rabbia potessero in questo modo convivere”.
Siamo di fronte ad un tentativo di integrarsi con la propria ombra, di gestire in modo costruttivo l’energia insita nella rabbia (altro meccanismo di armonizzazione).
Il lavorio sull’integrazione e il raggiungimento dell’armonia solitamente avvengono nelle fasi più avanzate del lavoro psicologico con le T.I.A.A.. A volte integrazione ed armonia sono preannunciate durante il lavoro sull’‘inferno in noi’ e non sono così nettamente separate, e in ordine cronologico, in ‘purgatorio’ e ‘paradiso’. Questo d’altronde è nella vita.
Nelle T.I.A.A. il cammino è a spirale: ci sono tematiche ricorrenti lungo la spirale che si allarga verso l’alto. Negli anelli più in alto si ritorna sulle stesse tematiche precedenti che però vengono elaborate in modo più complesso e completo. Alle volte con una serie di T.I.A.A. la persona arriva ad una armonizzazione, ma poi può esserci il ritorno nell’‘inferno’; quindi viene ripercorso il cammino, verso l’alto, che comunque è ad un livello superiore.
Questa ripetitività è la base di un vero cambiamento in quanto solo così si strutturano sinapsi stabili che lo sottendono, come ci informa la neurobiologia. Non è una singola chiusura, ma una serie di chiusure di Gestalt o di recupero di esperienze positive, o altro meccanismo di armonizzazione, che determinano un vero nuovo status! [vedi: Gastaldo G. Ottobre M. (2007 a). L’archetipo del rito – le strutture psichiche con riferimento alla bionomia e al modello Gastaldo Ottobre (pp.135-151) in: Il rito. Widmann C. (a cura di), Ed. Magi, Roma].
Lasciamo ora il posto ad un’altra giovane eroina con i frammenti di tre sue T.I.A.A.:
Il suo punto di partenza è un vissuto di ‘corpo rifiutato, nemico, ‘inferno’. Tuttavia, come Dante, anch’essa è aiutata nel suo viaggio.
-Nella T.I.A.A. N° 25, è aiutata da una forza interna, che nasce dal proprio D.N.A. Forza che tende alle leggi della vita, quando ci mettiamo in collegamento con essa [vedi: Gastaldo G., Ottobre M. (2007 b): “L’archetipo degli archetipi; come opera nella Terapia Immaginativa Analitica Autogena”, Nuove prospettive in psicologia (pagg.13/20), anno XXII, n. 1. Maggio 2007 (fasc. n. 37)].
- Nella stessa T.I.A.A. la paziente è aiutata anche dall’Archetipo della madre.
Arriva così finalmente a lavorare sull’integrazione tra corpo e psiche (T.I.A.A. N° 29) e quindi all’armonia (T.I.A.A. N° 30).
Come in Dante: il corpo ‘terreno’ nell’‘Inferno’ va verso la riunificazione nel ‘Purgatorio’ per raggiungere l’armonia nel ‘Paradiso’.
T.I.I.A. N° 25. Ecco le ‘forze’ interne che l’aiutano (a e b):
a)“Sento una forza spontanea che non so da dove nasca, viene dal profondo e a volte mi stupisce, ha voglia di vivere, di godere qualsiasi cosa, accetta le piccole cose come un dono, questa parte fa sì che mi senta disponibile verso gli altri, non nel senso di caricarmi di pesi più forti di me, ma disponibile alle relazioni, rapporto di scambio e parità reciproca” ….
b)“Dall’interno è come se vedessi un’immagine di una mamma che prende in braccio il suo bambino, sia nel momento di gioia per affetto sia nel momento brutto, quando il bimbo non ha le capacità di affrontare la situazione, e sa che la mamma è li, non se ne va, e lo fa sentire protetto anche quando ha paura”.
Quest’ultimo passaggio ricorda Dante che nel XXX Canto del Purgatorio, quando incontra Beatrice, usa la similitudine di un ‘fantolin’ (fa emergere dalle sue esperienze antiche) che corre dalla madre quando ha paura.
“ Tosto che ne la vista mi percosse
l’alta virtù che già m’avea trafitto
prima ch’io fuor di puerizia fosse
volsemi la sinistra col respitto
col qual il fantolin corre alla mamma
quando ha paura o quand’egli è afflitto.
Ecco le due T.I.A.A. che descrivono il processo d’integrazione
T.I.A.A. N° 29.
“Sensazione di calore piacevole, tutta dentro al corpo, un vigore, un’energia che da dentro va verso fuori. … Una luce, simile al colore oro, da piccola si estende e diventa un cerchio grande, come se illuminasse tutte le parti di me, una luce rassicurante che indica una via interna. …..”
Va molto bene così, ed è già una grande conquista, ma riguarda solo la parte interna, la psiche, che colloca nell’interno del corpo; questa tuttavia non è in armonia con la sua parte esterna, cioè il corpo, come poi dice.
“Una sensazione come se le parti interne di me non fossero collegate con le parti esterne del corpo, non ci fosse continuità fra il dentro e il fuori. … A volte ho un rifiuto verso il corpo, non rispecchia la parte esterna ma fa vedere un’altra cosa. Non accetto il corpo perché mi tradisce a volte. L’inizio è stato da quando (il corpo) cominciava a trasformarsi da bambina quando iniziavo a crescere, a mutare, e da più grandicella, con la paura di diventare come una donna ….”
Tuttavia c’è questa luce che si estende, che indica una via (la sua Beatrice), e il risultato lo vediamo nel brano successivo; è la tendenza in sé a vivere secondo le leggi della vita.
T.I.A.A. N° 30
Sensazione di piacere e leggerezza su tutto il corpo, di pace interna e di distensione come quando si è sull’acqua del mare e ci si lascia cullare dalle onde e ci sentiamo sereni e liberi di farci cullare e coccolare”
Inizio apparentemente come nella precedente T.I.A.A., ma qui parla di ‘corpo’ e non ‘qualche cosa che è dentro al corpo’ e poi prosegue in modo molto diverso:
“Sensazione di ascolto e osservazione verso me stessa e parte interna ed esterna non sono divise ma una continuità, una complessità, un tutt’uno; ecco sono così, fatta da tante parti, ognuno ha una sua particolarità, il corpo accoglie questo messaggio, non sento due cose diverse, ma come se il mio corpo rispondesse al mio stato interno, c’è armonia fra corpo e psiche” …. Sento come ci fosse un adulto interno che indica la via lasciandoti libera”.
Come ultima eroina presentiamo una persona che è stata preda di una delle più profonde e spietate depressioni, osservate fra molte decine di casi.
Sua è anche la T.I.A.A. in cui si vede il viraggio fra vissuto di madre mostro, (“mia madre è un mostro, per cui “io sono una madre mostro”) a madre nutritiva che dà calore; viraggio che segna l’inizio della sua ripresa e rinascita e conseguente uscita dalla depressione.
Tale T.I.A.A. è riportata, anche con illustrazioni, nel libro [Gastaldo G Ottobre M. (2002 – 2008:” Dottore, posso guarire? - Come curare i mali oscuri”, pagg.101/106. Ed. Armando, collana Airda, Roma].
Invece, nella seduta, della quale qui riportiamo l’ultima parte, la paziente fa comparire come protagonista il bambino il cucciolo, il proprio puer.
La svolta verso l’integrazione del femminile con il maschile è compiuta dal proprio puer in quanto questa parte di sé possiede l’energia allo stato nascente, contiene anche l’orientamento insito nel DNA verso le leggi della vita ed infine, nella T.I.A.A. prima menzionata, ha fatto emergere ed ha captato il ricordo, registrato nell’amigdala, di madre tenera, affettuosa, protettiva, che dà calore e nutrimento.
Il bambino entra in scena rapidissimo, come una saetta, così come, subito dopo, è stata rapida e improvvisa l’uscita dalla depressione.
A questo bambino in lei, il compito di recuperare e accogliere come preziosissima la sua parte femminile, che aveva creduta terribile e distruttiva, e che quindi aveva rinnegato, con conseguente caduta nella depressione.
Al bambino il compito di ritrovare Beatrice che è sotto forma di perla, ma dapprima non la può vedere perché nascosta nell’ostrica ed è in un antro.
Anche Dante, nel trentesimo canto del Purgatorio, non riconosce Beatrice perché nascosta da un velo
Canto XXX
“Sovra di candido vel cinta d’uliva
Donna m’apparve, sotto verde manto
Vestita di color di fiamma viva”
Dante e il bambino devono immergersi nell’acqua purificatrice – Dante nel fiume Lete – e, a loro così purificati, finalmente si svela e possono contemplare, il loro tesoro; si apre la strada verso il loro ‘paradiso’.
Canto XXXIII
S’io avessi, lettor, più lungo spazio
Da scrivere i’ pur cantere’ in parte
Lo dolce ber che mai non m’avria sazio;
…………….
Io tornai dalla santissima onda
rifatto siccome piante novelle
Rinovellate di novella fronda,
puro e disposto a salire le stelle
T.I.A.A. N° 42
Adesso dal cielo, ho visto come una saetta, con la stessa intensità, scendere un bambino ed è andato dentro ad uno specchio d’acqua. Sembra sia arrivato con uno scopo ben preciso; infatti sposta delle piccole pietre, forse in cerca di una specie di tesoro, (non quale monete o oro), ma di qualche cosa che imprigioni la voglia di vivere; potrebbe andare in cerca di un’ostrica che sia riuscita a produrre, nel corso del tempo, una perla bellissima.
Adesso vedo un piccolo bagliore proveniente da un antro sotto la superfice di questo fiume e il bambino si dirige proprio là.”
Il bambino è colpito dal bagliore della nascosta perla come Dante è trafitto dal ‘bagliore’ della virtù della velata Beatrice, come nei versi prima citati:
“Tosto che nella vista mi percosse
L’alta virù che già m’avea trafitto”
“Il bambino prende in mano la perla con estrema delicatezza; la apprezza come un dono e quasi con umiltà va incontro a questo dono. L’appoggia vicino al cuore non so se per riuscire a spostare su di sé la stessa energia che l’ostrica è riuscita a utilizzare per formare la perla.
La tiene stretta in mano e risale.
L’acqua imprime sul suo corpo una forza tale che sembra spingerlo verso la superfice.
Lui arriva sulla riva, vedo la sabbia molto bianca, vedo il mare con un bel colore azzurro e lui si siede sulla riva del mare e rimane là ad ammirare il tesoro che è riuscito a scoprire in fondo al mare”
Abbiamo raccolto e accolto le ‘umane commedie’ di centinaia di questi EROI, con più di quindicimila loro T.I.A.A. registrati, trascritti e catalogati.
Ognuno di essi non si è limitato ad una, seppur importante riflessione sulla vita e sul viaggio proprio e altrui, ma ha COSTRUITO e percorso, tappa per tappa, nel loro immaginario e in piena coscienza, soffrendo e gioendo, un loro personale, intimo, inimitabile e irripetibile viaggio.
Questo non assomiglia e non può assomigliare a quello delineato nell’Asino d’oro di Apuleio, nella Divina Commedia di Dante, nel Signore degli anelli di Tolkien, nella Storia Infinita di Ende, in Pinocchio di Collodi, in Harry Potter di Rowling e in mille altri.
Essi documentano, con i profondi cambiamenti del loro personale modo di vivere, il cammino di armonizzazione psichica e di integrazione di strutture cerebrali che la sottendono.
Certamente questi nostri eroi non possono paragonarsi all’EROE Sommo Poeta; pur tuttavia, con Dante e gli altri artisti e i miti, leggende e favole e alcune prassi psicoterapeutiche, essi indicano e testimoniano una via – (coesistenza, collaborazione di immaginario/coscienza) - per un futuro migliore, per quell’umanità che è disposta a percorrerla.
A Dante e anche a ai nostri Eroi la nostra gratitudine.
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Miti, Dante, Freud … e Schultz con il Training Autogeno
L’umanità tende a sanare il proprio “difetto originale”
- Premessa
Colpevole o vittima?
Possiamo ipotizzare che ci sia un grave handicap all’origine della vita infelice, che gli uomini troppo spesso si infliggono o infliggono ad altri, pur nel patetico tentativo di perseguire la felicità propria e altrui. (vedi epilogo del libro della collana Airda ed. Armando: Gastaldo G. Ottobre M.: “Una strada per il centro del cervello”).
Le leggi del nostro universo hanno generato l’uomo, organismo in evoluzione, il cui stadio evolutivo attuale, non definitivo, può contenere immaturità, le quali possono portarlo anche all’autodistruzione.
L’evoluzione dei mammiferi, fino all’Australopiteco (a cui appartiene la nostra progenitrice Lucy), si è realizzata in un centinaio di milioni di anni, e il cervello, in tale evoluzione, è arrivato ad un volume di circa 450/550 cc.
Dall’Australopiteco siamo giunti, in soli tre milioni e mezzo di anni, ai 1250 cc dell’uomo attuale e, tale aumento, è dovuto quasi esclusivamente allo sviluppo del neocortex (porzione - 90% - di corteccia cerebrale con sviluppo filogenetico più recente). Una maratona incredibile!
Purtroppo, il vero progresso non è solo questione di volume, ma di integrazione fra le parti.
Come non pensare che tale nuova struttura abbia avuto difficoltà nell’integrarsi perfettamente con le strutture preesistenti?
Il rimpicciolimento della mandibola non è andato di pari passo con una diminuzione di volume o di numero dei denti, portando al noto inconveniente di un dente che non trova posto! In una rapida evoluzione, possono essersi create strutture che a volte rappresentano vantaggi, ma altre volte svantaggi o addirittura pericoli per la salute.
Anche pensando al solo aumento del diametro del cranio, passando dall’Australopiteco all’uomo attuale, possiamo comprendere la difficoltà del nascituro di passare per il canale del parto. Nell’evoluzione, affinché il feto, con il volume del cranio così tanto aumentato, potesse passare attraverso tale canale, si sarebbe potuto strutturare un allargamento del bacino femminile; ciò in parte è avvenuto. Tuttavia un allargamento adeguato del bacino, quindi ancora maggiore, avrebbe comportato un troppo grande distanziamento delle teste dei femori, con la conseguente difficoltà alla deambulazione.
Sembra probabile invece (secondo un’ipotesi abbastanza condivisa) che la scelta evolutiva sia caduta nel determinare una nascita prematura a nove mesi, anziché a 12 o oltre. Così il cranio del nascituro, a tale stadio di vita intrauterina, ha una circonferenza ancora compatibile con una nascita senza problemi.
Questa immaturità comporta che i circuiti neuronali, alla nascita, non abbiano ancora raggiunto un sufficiente grado di maturità e quindi di stabilità, e pertanto siano estremamente predisposti a subire modellamenti dati dalla pressione delle esperienze nel mondo esterno.
I circuiti neuronali che supportano la paura, la rabbia, il lutto, la gioia, il disgusto, il senso di responsabilità, ecc., sono sottoposti all’azione plasmante di paure anche soltanto percepite, perdite importanti, danneggiamenti magari ripetuti. Alle volte tali eventi non sono proporzionati alle capacità di sopportazione del neonato. Pertanto i circuiti neuronali, che sottendono gli stati emotivi basilari e le reazioni istintive, possono deformarsi e, nel prosieguo del tempo, dare risposte alle evenienze della vita non congrue, sproporzionate o completamente errate, fino a produrre danno a sé ed agli altri. Tali stati emotivi possono essere più che mai ingestibili.
Tuttavia questa immaturità del cervello del neonato, e pertanto questa facilità ad essere plasmato dalle esperienze, comporta anche un vantaggio, che è caratteristico dell’essere umano, cioè la capacità di adattarsi ad ogni ambiente, sia fisico che psichico.
Un recente studio mette in risalto il fatto che i bambini, di qualsiasi etnia o di luogo geografico, nascano con le stesse potenzialità e caratteristiche di base (vedi studio INTERGROWTH – 21ST), ma poi l’opera plasmante dell’ambiente porta ad una tale differenziazione del modo di porsi nella vita, da rendere estremamente difficile la comprensione di comportamenti, stili di vita, mentalità tra individui di paesi diversi.
Possiamo quindi ipotizzare che, a causa di questo rapidissimo ed enorme sviluppo del neocortex, sia stato impossibile per le strutture del cervello delle specie precedenti, implicate nelle memorie antiche e nelle emozioni, integrarsi e armonizzarsi con le nuove strutture e soprattutto con la corteccia prefrontale. Quest’ultima è quella parte del neocortex che assolve anche al compito di modulare, nella consapevolezza, le nostre spinte emotive e le dinamiche inconsce.
Probabilmente il Sapiens sarebbe veramente tale, e non solo “sedicente”, se ci fosse una buona integrazione fra strutture sottocorticali e neocortex prefrontale.
- Il “difetto originale”
Tale insufficiente integrazione comporta il sentirsi (a volte anche consciamente, ma più spesso in modo inconscio) in balia di un quid potente che ci travolge. Ciò può essere la causa di profonda insicurezza in tutti e in modo più marcato in alcuni; quindi costituire quello sfondo di paura che per molti si esaspera in compensi incongruenti.
Tale paura diventa matrice di tutte le strategie inconsce messe in atto per compensarla; avidità, invidia, gelosia, egoismo, bisogno di dominare e di controllare gli avvenimenti, gli altri e la vita stessa; la ricerca di un’impossibile immortalità ne è conseguenza. Ci troviamo ad assistere a distruttività, estremismi e guerre sia nel micromondo dei rapporti interindividuali, sia nel più ampio ambito dei conflitti sociali.
Sembra pertanto che l’eventuale “peccato originale” sia preceduto da un “DIFETTO ORIGINALE”, difetto dovuto ad uno scatto evolutivo troppo rapido.
Probabilmente, sia la parte più profonda del cervello sia il neocortex sono orientati verso il favorire e il potenziare la vita in tutte le sue espressioni. Quello che fa difetto potrebbe essere un’incompleta armonia fra le varie parti.
- Miti, leggende, favole
Gli uomini, avendo comunque un cervello portentoso, hanno sempre cercato, in tanti modi diversi e soprattutto inconsapevoli, di rimediare a questa immaturità, a questa inadeguatezza di integrazione fra strutture cerebrali.
Questa ricerca si manifesta ad esempio attraverso la continua costruzione, elaborazione, e trasmissione di miti, leggende e fiabe. In queste produzioni dello spirito umano, sia nella costruzione che nel rimodellamento e trasmissione, c’è la coesistenza fra lo stato cosciente e l’inconscio, l’immaginario e la razionalità. Grazie a tutto questo accadono continue esperienze di collegamento tra neocortex prefrontale e strutture cerebrali più arcaiche.
Queste esperienze di funzionalità di strutture diverse collegate fra loro, stante la plasticità del cervello, portano a costruire sinapsi, - come ci dice la neurobiologia -, quindi connessioni e integrazioni fra strutture cerebrali di stadi evolutivi diversi: fra il così detto cervello del rettile quello del mammifero e quella parte tipica dell’uomo che è il neocortex, con la sua importante parte che è la corteccia prefrontale.
- L’arte
Anche nell’arte, in ogni processo creativo artistico, avviene questa integrazione. Essa si realizza, partendo dall’integrazione parziale, attraverso il costante e ripetuto impegno di realizzarne una migliore. Con continue esperienze, come fanno gli artisti, si maturano e si consolidano le sinapsi che collegano strutture (neocortex, strutture sottocorticali, emisfero destro ed emisfero sinistro).
Pertanto l’arte è anche un mezzo, un mezzo importante, forse il primo, attraverso il quale l’essere umano ha inconsciamente cercato di sanare il proprio “difetto originale”.
Artisti neolitici, Omero, Fidia, Tragediografi greci, Dante, Michelangelo, Leonardo, Shakespeare, Bosch - per nominare solo alcuni - in ogni epoca hanno attinto a piene mani , in piena coscienza, ai loro archetipi, ai loro simboli, al loro materiale onirico; hanno dato carta bianca al loro immaginario; hanno lasciato emergere in piena coscienza, e hanno espresso come regalo all’umanità, il loro personale inferno, purgatorio e paradiso, la loro strada di evoluzione, nella integrazione delle loro strutture cerebrali.
Nel presente anno 2021 ricorre il settecentesimo anno dalla morte di Dante, che è stato fra i più completi ed espliciti nel delineare il proprio viaggio di sviluppo e integrazione.
Questo nostro lavoro fa esplicitamente riferimento a lui.
Ci sono studi importanti sull’opera di Dante per quanto riguarda il suo cammino, e a loro rimandiamo; ne citiamo quattro, particolarmente significativi, in ordine di prima pubblicazione in lingua italiana.
- Adriana Mazzarella. (2017; prima edizione 1991): Alla ricerca di Beatrice - Dante e Jung Edra, Milano.
Ognuno deve passare attraverso l’esperienza del proprio «inferno» se vuole cambiare qualcosa nell’atteggiamento verso la vita».
Pag. 23: «Nell’inferno veniamo a contatto con la persona, con l’ombra, con i vari aspetti dell’animus e dell’anima; nel purgatorio prendiamo coscienza della sintesi unificante degli opposti e, nel paradiso, delle istanze spirituali che portano all’unione finale col Principio (cioè Dio), proprio come nello Yoga orientale»
- Richard Schaub & Bonney, Gulino Schaub (2004 ed italiana): Il Metodo Dante – per superare ansia, frustrazione e paure e ritrovare la “diritta via”, Ed. Piemme, Casale Monferrato (AL).
- Giorgia Sitta (maggio2018): Tutti all’Inferno – l’alchimia nella Divina Commedia: il viaggio dell’uomo verso Sé, Ed. Le Duetorri.
- Claudio Widmann (Gennaio 2021): La divina Commedia come percorso di vita. Volume I: l’Inferno, l’abisso dell’inconscio. Volume II, il Purgatorio: il regno dell’io, Volume III: il Paradiso, la sfera del Sé, Edizioni Magi
- La scienza
A Sigmund Freud l’umanità è debitrice per una delle più utili invenzioni che permette il miglioramento dell’essere umano. Si tratta delle associazioni libere; libere da un vincolo razionale. Nasce il lavoro psicologico su di sé moderno.
In piena coscienza, ad una parola si associa ciò che improvvisamente viene in mente o l’emozione che emerge, senza preoccuparsi che ci sia una spiegazione razionale.
Nelle associazioni libere la persona, in pieno stato di coscienza, lascia emergere contenuti inconsci e, nelle sedute di analisi, si allena ad usufruire e potenziare, sempre più facilmente e frequentemente questa capacità. È una continua creazione di sinapsi fra neocortex e strutture sottocorticali.
Freud ha reso fruibile a tutti, attraverso una tecnica, il mettere in atto una capacità naturale – contemporaneità coscienza/inconscio - che tuttavia solo alcuni hanno a portata di mano spontaneamente – esempio fondamentale Dante nella divina Commedia.
Dopo Sigmund Freud, Carl Gustav Jung in particolare, Robert Desoille, e altri, hanno reso possibile l’affinamento di questa capacità, con altre particolari modalità.
A I. H. Schultz il merito di aver inventato un allenamento, strutturato, che la persona esegue quotidianamente in piena autonomia. (vedi libri della collana Airda ed. Armando). Schultz basa il suo metodo sull’allenamento; l’importanza di questo si riscopre oggi con le acquisizioni della neurobiologia che dimostra l’importanza della ripetitività di esperienze nella costruzione e potatura di sinapsi e quindi nel modellamento e rimodellamento dei circuiti neuronali del cervello.
Nel T.A. Basale, quando non mistificato a mero mezzo di rilassamento, ci si allena all’ascolto della propria realtà organismica completa; ci si allena a lasciare che accada, all’accettare ciò che emerge spontaneamente senza paura e senza dare giudizi; ci si allena quindi a lasciare emergere, in piena coscienza, ciò che è contenuto nella parte più profonda del cervello/psiche.
(vedi pp.19 e seguenti in Gastaldo G Ottobre M. (1994 – 2008): Psicoterapia Autogena in quattro stadi – l’appuntamento con se stessi, Ed Armando, Collana Airda, Roma.
In questo allenamento si formano e consolidano strutture neuronali di integrazione fra strutture corticali e sottocorticali del cervello. Si realizza un processo analogo a quanto avviene in una prassi di produzione artistica, e nell’opera collettiva di costruire e tramandare miti, leggende e favole.
Così allenate le persone, nelle sedute di diversi tipi di Training Autogeno Avanzato, lasciano emergere spontaneamente, in piena coscienza, sequenze di associazioni libere, di simboli espressi e integrati con elementi coscienti. Soprattutto lasciano emergere, in piena coscienza, vissuti di un contesto immaginativo inconscio,. Tali vissuti sono il frutto dell’elaborazione che il cervello ha fatto di tutte le esperienze, dalla vita intrauterina in poi. Si creano continuamente collegamenti sinaptici. (vedi in particolare il libro: Gastaldo G. Ottobre M. (2019): Una strada per il centro del cervello – un seno con le spine, Ed Armando, collana A.I.R.D.A., Roma).
- Un contributo dello Studio Gastaldo/Ottobre, Airda
Nel 1987 è stato pubblicato un libro (che ora verrà ripubblicato in e book Ed. Armando, collana Airda) Gastaldo G., Ottobre M.: Nel Labirinto con il filo d’Arianna - lo strutturarsi delle vie dell’energia nell’età evolutiva, Ed Piovan, Abano Terme (PD).
Senza che ce ne fosse l’intenzione, è stato seguito lo schema: Inferno, Purgatorio, Paradiso. Ciò è comprensibile in quanto questa è la sequenza naturale a cui ogni essere umano spontaneamente aderisce, quando non fa opposizione alle leggi della vita inscritte in lui, nel suo DNA.
Nel libro, attingendo all’archivio Gastaldo/Ottobre, in cui sono depositati migliaia di vissuti in stato autogeno, sono stati raccolti centocinquantacinque vissuti di quarantadue soggetti.
In tali vissuti si esprimevano importanti esperienze avverse, dei primi anni di vita, che avevano bloccato la normale evoluzione verso una vita piena.
Questi blocchi avevano incatenato le persone in un ‘Inferno’. Man mano, nello svolgimento dei vissuti in piena coscienza i blocchi venivano superati. Ciò durante sedute di Training Autogeno Avanzato, sedute che sono state chiamate: “T.I.A.A.” cioè Terapia Immaginativa Analitica Autogena.
Le persone, dopo aver passato il loro ‘inferno’ in molte sedute, sfociavano nelle T.I.A.A. che abbiamo chiamato della ‘ripresa’ e della’ rinascita’ nelle quali si esprime il loro ‘purgatorio’ e il loro ‘paradiso terreno’.
Il parallelismo che, nei paragrafi successivi, faremo fra alcuni versi della Divina Commedia e alcune frasi delle T.I.A.A. vuole solo significare che, come Dante, anche ciascun soggetto passa attraverso analoghi stadi evolutivi. Tuttavia il viaggio di ogni uomo è personale e nessun passaggio può essere sovrapponibile a quello di altri; la somiglianza si può trovare nell’ambito di simbologie archetipe.
Ecco alcune piccole parti di vissuti riportati nel libro.
Come esempio di ‘inferno’ il frammento di seduta di una giovane universitaria
T.I.A.A. N° 19
“vedo me con codine, vestita con grembiulino azzurro… sono impiccata e penzolo … mi vedo poi in una bara … sdoppiata; una nella bara e una che corre nella stanza incurante dei topi …mi stendo dov’era la bara e fingo di essere morta … vedo mio padre che fa all’amore con me
Come esempio di ‘purgatorio’ riportiamo un frammento di T.I.A.A. della ripresa (N° 25), che parla della individuazione; la giovane donna ‘conquista’ la sua voce interna, il modo originale di esprimere se stessa.
T.I.A.A. N° 25 sogg. Femminile
“… E scopro che anche il mare ha una sua voce, un suo rumore. E così cerco di rispondere con la mia voce … prendo un po’ di terra in mano, e sento che anche questa fa dei rumori … L’acqua … Sono tutte voci e non meccanismi: sono voci interne, come la mia, ora… E anche la mia voce ha mille possibilità di suoni, di combinazioni ... È come qualcosa prima del linguaggio, è una facoltà, un suono… Allora prendo una barca e vado sopra il mare … e vedo che ci sono nuove terre … e tutto un mondo popolato di voci, da suoni, che è come un mondo per essere vivi … E tutto … vive, tutto ha una sua parte in un grandissimo concerto…”.
Come esempio di rinascita e armonia raggiunta, il ‘paradiso’ citiamo il frammento di
T.I.A.A. N° 27. Sogg. Femminile.
“Continuo a divertirmi molto serenamente ….. la serenità è molto adulta …. equilibrata, è chiara, è bianca, è come il sole, luminosa, come l’aria …. Mi immagino con questo alone di bianco, giallo, azzurro in tutto il mio corpo …. Cerco di non perderlo …me lo penso sempre addosso… continuo a vedermi così in giro per la strada con un viso molto sereno e sorridente.
Questa luminosità/serenità si trova nel paradiso dantesco dove c’è il binomio luce/beatitudine; luce che va dal bianco come “perla in bianca fronte”, alla luce dorata del cielo di Saturno a quella azzurra del cielo di Giove fino al bianco splendente incandescente dell’Empireo.
E ora un sogg. maschile:
T.A.A.A. Training Autogeno Avanzato Analitico N° 14
“Ora la sfinge diventa mia madre, mi tiene in braccio, mi guarda dolcemente, siamo tutti e due racchiusi in un sacco amniotico trasparente, galleggiamo nello spazio verso un infinito di stelle”
Egli ricorda e commenta, tutti i vissuti in cui rievoca, in modo simbolico, le terrificanti lotte con la figura materna.
“il nostro è stato un atto doloroso e faticoso, portato avanti in collaborazione; tutti e due abbiamo sofferto per creare una nuova vita, è una sensazione nuova, diversa, matura”.
- Gli eroi
Certamente la Divina Commedia di Dante è un altro mondo rispetto ai nostri T.I.A.A.
Il Sommo poeta possiede una immensa capacità naturale immaginativa (capacità immaginativa che nelle T.I.A.A. è frutto di un preciso allenamento) che, già di per sé, è in grado di creare sinapsi fra strutture cerebrali in partenza non perfettamente integrate.
Ma Egli coniuga quest’ultima con un’altra immensa capacità cioè quella artistica. Quest’ultima è anch’essa in gran parte dote naturale, ma è anche frutto di enorme lavoro di ricerca della perfezione.
Dante crea un’opera inimitabile: La Divina Commedia, facendo un lavoro di crescita personale che regala poi all’umanità, per incoraggiare tutti noi a tendere a meritarci, almeno un poco, l’appellativo di ‘sapiens’.
Dante è il sommo ‘Eroe’, ma …
Tornando dalle sfere celesti, dove risiede Dante e il suo paradiso, alla nostra realtà terrena aggiungiamo qualche vissuto (nelle T.I.A.A.), nell’intento di descrivere qualche tentativo dei nostri eroi per giungere, anche se non in ‘paradiso’, almeno a rivedere le stelle.
Nell’epilogo del libro [Gastaldo G. Ottobre M. (2008): Il Training Autogeno in diretta -si aprono nuovi orizzonti, pagg. 144/148. Ed. Armando, Collana Airda, Roma] sono stati chiamati ‘eroi’ i pazienti che fanno un lavoro profondo su se stessi. Ciò perché i mitici eroi sono quelli che ci vengono descritti come figli di un dio e di un mortale (e pertanto rappresentano ciascuno di noi, sono cioè un organismo con due facciate una psichica ritenuta figlia del cielo e una corporea ritenuta figlia della terra), ma, gli eroi, per essere consacrati tali - tutti indistintamente quelli della mitologia greco romana e non solo e anche Dante -, vanno a ‘visitare’, a ‘impossessarsi’ del mondo degli inferi.
Per l’umanità l’eroe, per essere considerato tale, deve possedere interamente se stesso, compresa quindi la parte sotterranea, inconscia.
Vi presentiamo ora una eroina che tuttavia è rimasta intrappolata nel proprio ‘inferno’. (evenienza, questa, successa anche all’eroina sumerica Inanna, la dea regina del cielo e della terra, quando era andata a conquistare la sua parte sotterranea).
Tale nostra eroina potrebbe essere collocata fra gli ignavi.
Alla parola ‘ignavi’ di solito si dà un significato che è frutto di una mentalità giudicante; dai vocabolari – uno a caso - Devoto Olli: imperdonabilmente indolente o vile di fronte alle umane responsabilità.
Tuttavia, dal punto di vista psicopatologico, ci accorgiamo che quasi sempre si tratta di persone che possiamo definire: “borderline”. Termine questo che, inteso nell’accezione più recente, sta ad indicare persone che si mantengono ai bordi della vita e cioè non entrano in essa in quanto terrorizzati dai rischi del vivere, tra i quali primo di tutti il morire.
Nella nostra esperienza sono persone che agli albori della vita, nei periodi in cui enorme è la plasticità del cervello, in quanto è in piena formazione, hanno ricevuto, o hanno creduto di ricevere, gravissime minacce di vita – anche ad es. assenza di una figura materna stabile. Così, nel loro cervello, si sono improntati circuiti neuronali che costituiscono basi operative di automatiche e irrefrenabili reazioni di evitamento (di entrare nella vita).
Tornando alla nostra eroina, è successo quanto segue:
Dopo aver fatto il corso Base del T.A., e una quarantina di T.I.A.A., è arrivata ad un vissuto che per molte persone, anche con la sua stessa patologia, rappresenta l’inizio di una svolta decisiva.
Si tratta di uno degli otto meccanismi di armonizzazione più frequenti e più efficaci, che accadono nel Training Avanzato [vedi il libro precedentemente citato alle pagg 188/197: Gastaldo. G. Ottobre M. (2019).
Stiamo parlando della chiusura di una Gestalt, che lei non ha potuto (e non: “non ha voluto”) effettuare.
Si parla di “Gestalt chiusa” quando un bisogno fondamentale viene soddisfatto; Gestalt significa: forma completa. La Gestalt rimane invece aperta quando tale bisogno, in una finestra temporale particolare, non viene soddisfatto adeguatamente per cui, per tutta la vita, la persona cerca invano di soddisfarlo.
In archivio Gastaldo/Ottobre ci sono molti esempi in cui si ha una svolta decisiva quando in una T.I.A.A. il se stesso adulto dà al se stesso bambino ciò che gli era mancato. Avviene nell’immaginario la “chiusura della Gestalt” ovvero la completezza.
In questo caso la paziente, da neonata, aveva avuto esperienze vissute come angoscianti e terrificanti, tanto è vero che le avevano detto che nel suo primo anno di vita aveva continui pianti di disperazione.
(Non abbiamo la possibilità di riportare il vissuto, ma lo raccontiamo):
Nell’immaginario: lei, adulta, vede sé neonata disperata e nessun adulto presente va a prenderla e cullarla o va a vedere perché è angosciata. Non le viene assolutamente spontaneo, come di solito avviene per altri pazienti, di prendersi cura di quella bambina. La guarda disperata e, dopo aver deprecato che nessuno se ne prende cura, rinuncia a prenderla in braccio e se ne va sconsolata.
È colpevole di ignavia o è vittima di un circuito neuronale killer?
Se diamo per scontato il “libero arbitrio” dobbiamo tuttavia chiederci quanto di questo c’è in ciascuno di noi. Ai limiti: 1 o 99%.?
Dante: Inferno Canto III:
“Vidi e conobbi l’ombra di colui
Che fece per viltà il gran rifiuto”
……………
“Questi sciaurati che mai non fur vivi
Erano ignudi, stimolati molto
Da mosconi e da vespe ch’eran ivi”.
Dopo qualche tempo la paziente ha smesso di proseguire il lavoro psicologico. Rimase prigioniera nel suo ‘inferno’; tuttavia nella vita sempre tutto può accadere.
In ogni uomo possiamo trovare momenti di ignavia e, la consapevolezza di questo, dovrebbe essere vissuto come un frammento di inferno nella vita terrena e diventare moscone e vespa che ci pungola a superare questo momento di debolezza.
Un altro eroe era venuto, negli ultimi anni ottanta, all’età di 28 anni, per fare un percorso psicologico perché vittima delle proprie esplosioni di rabbia, che mettevano a rischio le relazioni familiari e la corretta educazione dei propri figli.
Dalle T.I.A.A. emerge nitido che esperienze di danneggiamento hanno reso ingestibile il circuito neuronale che sottende l’emozione rabbia; emozione forza vitale, inscritta nel nostro DNA, per stoppare i danneggiamenti; forza positiva quando è congrua e proporzionata alla propria finalità e non degenera in violenza, distruttività, sopraffazione, vendetta.
C’era in lui un nucleo che ha coagulato attorno a sé vissuti di danneggiamento. Tale nucleo si è costruito nella vita prenatale e perinatale. Infatti il paziente è nato post maturo di più di dieci giorni; era molto cianotico, al limite della sopravvivenza, immerso in un liquido amniotico ormai ‘melmoso’ e con il cordone ombelicale attorcigliato al collo.
È da notare che l’asfissia è una delle esperienze di danneggiamento più sconvolgenti e terribili.
Attorno a questo nucleo si sono coagulate altre esperienze di danneggiamenti avvenute nella prima infanzia, formando nell’insieme un ‘pacchetto di esperienze’ capace di deformare il circuito neuronale che sottende a tale emozione, e quindi stravolgere le finalità vitali dell’emozione ‘rabbia’.
Tutto ciò il paziente l’ha ricostruito quando sono emersi i vissuti dei quali riportiamo frammenti; solo allora si è ricordato di ciò che gli avevano detto della propria nascita e dei suoi primi anni di vita.
Riportiamo una seduta completa, incredibilmente breve; fa parte della seconda serie, fatta dopo una decina di anni dalla prima e dal corso di T.A. Basale (la prima serie era di una trentina di T.I.A.A. ed era servita per incanalare l’energia della sua rabbia in atti vitali costruttivi).
In questa che riportiamo, sintetizza alcune tematiche esposte nelle precedenti sedute: soffocato sotto acqua (in molte altre T.I.A.A), nero dentro l’utero, paralizzato, cianotico, melma, fango, rabbia, esplosione, acqua purificatrice.
Nella seduta: vengono lasciate emergere sensazioni antiche, registrate nell’amigdala, e nell’emersione, sono elaborate dalla corteccia prefrontale.
Possiamo notare nel vissuto: l’‘inferno’ con tentativi di sanare: ‘purgatorio’.
T.I.A.A. N° 13
“Vedo me piccolo, sembra di essere dentro l’utero, sono tutto nero, arrabbiato, la bocca piena di qualcosa che non mi permette di respirare, sembrano delle feci, qualcosa di schifoso che poi sputo, sono quasi immobilizzato, paralizzato, tutto nero. Sembro quasi un neonato handicappato e ci sono io grande che con un tubo cerco di aspirargli tutta la schifezza che quello piccolo ha in bocca per provare a farlo respirare. Riesco a tirargli via tutto quello lui aveva in bocca (chiusura di Gestalt) e lui dopo si riprende e mi abbraccia e quello che gli ho aspirato va in un contenitore trasparente e c’è tanta rabbia. Questo contenitore si spacca e la rabbia esce, è come una melma e va sul pavimento, allora io cerco di lavarla con una gomma per l’acqua e cerco di portarla fuori dalla stanza, ma anche fuori da me, dal mio corpo. Poi mi sento scivolare giù nel profondo e tutta la rabbia della melma mi copre, mi sovrasta, fa uno strato enorme che mi soffoca e che da liquido diventa tutto duro. Riesco a tirarmi fuori, distruggendo la parte solida e poi uscire, mi sento arrabbiato con la rabbia. Sono tutto blu, violaceo e ho una corda tutto intorno (cordone ombelicale causa della cianosi) e poi, sempre con molta rabbia, la spezzo e riesco a tornare di un colore normale. Ho paura di questa rabbia però sono confortato dal fatto che l’Io grande prende in braccio quello piccolo (nuova chiusura di Ghestalt) e sono tutti e due rosa, non più neri, e se ne vanno abbracciati. Basta”.
Nella Divina Commedia gli iracondi sono condannati a gorgogliare sotto l’acqua, nel limo, ingozzando fango come si può vedere dai versi qui di seguito riportati.
Lo buon maestro disse: «Figlio, or vedi
l’anime di color cui vinse l’ira;
e anche vo’ che tu per certo credi
che sotto l’acqua ha gente che sospira,
e fanno pullular quest’acqua al summo,
come l’occhio ti dice, u’ che s’aggira.
Fitti nel limo, dicon: “tristi fummo
nell’aere dolce che dal sol s’allegra,
portando dentro accidioso fummo:
or ci attristiam nella belletta negra’.
Quest’inno si gorgoglian nella strozza,
che dir nol posson con parola integra».
Così girammo della lorda pozza
grand’arco tra la ripa secca e’ il mezzo,
con gli occhi volti a chi del fango ingozza.
È interessante notare che la condanna immaginata da Dante è molto assomigliante alla genesi dell’incapacità di gestire l’ira nel nostro paziente!
Comunque, qualsiasi sia la genesi dell’incapacità di gestire l’ira in modo costruttivo, con Dante possiamo dire che, quando soggiacciamo a questa, e questo può succedere a tutti, ci sentiamo e siamo soffocati, anche fisicamente – collo e volto congestionati quasi cianotici –, dalla melma che essa è. L’ira soffoca e consuma ogni nostra energia volta a costruire rapporti di amicizia e di amore.
La condizione ‘infernale’: “lo incendio” è messa in risalto dal frammento di T.I.A.A. successivo della stessa persona:
Divina Commedia, Inferno, canto XIV:
“Chi è quel grande che non par che curi
Lo’ ncendio sì che la pioggia non par che ’l maturi?”
……………
“O Capaneo, in ciò che non s’ammorza
La tua superbia, se’ tu più punito:
nullo martirio, fuor che la tua rabbia,
sarebbe al tuo furor dolor compito”
T.I.A.A. N° 14
“Vedo delle fiamme, un fuoco alto che brucia dei bambini, quasi neonati; sono bambini che piovono dall’alto e che vengono bruciati dalle fiamme e sono tutti me stesso che però sembrano malformati, piuttosto che cattivi. Poi questi corpi carbonizzati sono io ad appenderli su un filo e li metto in mostra come in serie come se volessi eliminare il brutto che c’è in me. Vedo poi un’esplosione come una bomba che inghiotte anche me, mi fa in mille pezzi, è un’esplosione di rabbia”.
Eppure questo bagno di fuoco e il martirio ‘rabbia’ (è come ‘martirio’ che vive le proprie esplosioni) lo maturano! Il fuoco lo vive come distruzione di ciò che è male, e quindi come purificazione.
Infatti più avanti, nella stessa T.I.A.A., accade uno dei meccanismi di guarigione – “recupero di esperienze positive” che fa ritrovare fiducia e permette di operare per la propria salute -:
“Poi mi vedo sulla bambagia …. E’ tutto bianco, tutto morbido quasi il mio corpo scompare dentro questo cotone …. Faccio un buco nel cotone in modo che la rabbia possa respirare … quasi che calma e rabbia potessero in questo modo convivere”.
Siamo di fronte ad un tentativo di integrarsi con la propria ombra, di gestire in modo costruttivo l’energia insita nella rabbia (altro meccanismo di armonizzazione).
Il lavorio sull’integrazione e il raggiungimento dell’armonia solitamente avvengono nelle fasi più avanzate del lavoro psicologico con le T.I.A.A.. A volte integrazione ed armonia sono preannunciate durante il lavoro sull’‘inferno in noi’ e non sono così nettamente separate, e in ordine cronologico, in ‘purgatorio’ e ‘paradiso’. Questo d’altronde è nella vita.
Nelle T.I.A.A. il cammino è a spirale: ci sono tematiche ricorrenti lungo la spirale che si allarga verso l’alto. Negli anelli più in alto si ritorna sulle stesse tematiche precedenti che però vengono elaborate in modo più complesso e completo. Alle volte con una serie di T.I.A.A. la persona arriva ad una armonizzazione, ma poi può esserci il ritorno nell’‘inferno’; quindi viene ripercorso il cammino, verso l’alto, che comunque è ad un livello superiore.
Questa ripetitività è la base di un vero cambiamento in quanto solo così si strutturano sinapsi stabili che lo sottendono, come ci informa la neurobiologia. Non è una singola chiusura, ma una serie di chiusure di Gestalt o di recupero di esperienze positive, o altro meccanismo di armonizzazione, che determinano un vero nuovo status! [vedi: Gastaldo G. Ottobre M. (2007 a). L’archetipo del rito – le strutture psichiche con riferimento alla bionomia e al modello Gastaldo Ottobre (pp.135-151) in: Il rito. Widmann C. (a cura di), Ed. Magi, Roma].
Lasciamo ora il posto ad un’altra giovane eroina con i frammenti di tre sue T.I.A.A.:
Il suo punto di partenza è un vissuto di ‘corpo rifiutato, nemico, ‘inferno’. Tuttavia, come Dante, anch’essa è aiutata nel suo viaggio.
-Nella T.I.A.A. N° 25, è aiutata da una forza interna, che nasce dal proprio D.N.A. Forza che tende alle leggi della vita, quando ci mettiamo in collegamento con essa [vedi: Gastaldo G., Ottobre M. (2007 b): “L’archetipo degli archetipi; come opera nella Terapia Immaginativa Analitica Autogena”, Nuove prospettive in psicologia (pagg.13/20), anno XXII, n. 1. Maggio 2007 (fasc. n. 37)].
- Nella stessa T.I.A.A. la paziente è aiutata anche dall’Archetipo della madre.
Arriva così finalmente a lavorare sull’integrazione tra corpo e psiche (T.I.A.A. N° 29) e quindi all’armonia (T.I.A.A. N° 30).
Come in Dante: il corpo ‘terreno’ nell’‘Inferno’ va verso la riunificazione nel ‘Purgatorio’ per raggiungere l’armonia nel ‘Paradiso’.
T.I.I.A. N° 25. Ecco le ‘forze’ interne che l’aiutano (a e b):
a)“Sento una forza spontanea che non so da dove nasca, viene dal profondo e a volte mi stupisce, ha voglia di vivere, di godere qualsiasi cosa, accetta le piccole cose come un dono, questa parte fa sì che mi senta disponibile verso gli altri, non nel senso di caricarmi di pesi più forti di me, ma disponibile alle relazioni, rapporto di scambio e parità reciproca” ….
b)“Dall’interno è come se vedessi un’immagine di una mamma che prende in braccio il suo bambino, sia nel momento di gioia per affetto sia nel momento brutto, quando il bimbo non ha le capacità di affrontare la situazione, e sa che la mamma è li, non se ne va, e lo fa sentire protetto anche quando ha paura”.
Quest’ultimo passaggio ricorda Dante che nel XXX Canto del Purgatorio, quando incontra Beatrice, usa la similitudine di un ‘fantolin’ (fa emergere dalle sue esperienze antiche) che corre dalla madre quando ha paura.
“ Tosto che ne la vista mi percosse
l’alta virtù che già m’avea trafitto
prima ch’io fuor di puerizia fosse
volsemi la sinistra col respitto
col qual il fantolin corre alla mamma
quando ha paura o quand’egli è afflitto.
Ecco le due T.I.A.A. che descrivono il processo d’integrazione
T.I.A.A. N° 29.
“Sensazione di calore piacevole, tutta dentro al corpo, un vigore, un’energia che da dentro va verso fuori. … Una luce, simile al colore oro, da piccola si estende e diventa un cerchio grande, come se illuminasse tutte le parti di me, una luce rassicurante che indica una via interna. …..”
Va molto bene così, ed è già una grande conquista, ma riguarda solo la parte interna, la psiche, che colloca nell’interno del corpo; questa tuttavia non è in armonia con la sua parte esterna, cioè il corpo, come poi dice.
“Una sensazione come se le parti interne di me non fossero collegate con le parti esterne del corpo, non ci fosse continuità fra il dentro e il fuori. … A volte ho un rifiuto verso il corpo, non rispecchia la parte esterna ma fa vedere un’altra cosa. Non accetto il corpo perché mi tradisce a volte. L’inizio è stato da quando (il corpo) cominciava a trasformarsi da bambina quando iniziavo a crescere, a mutare, e da più grandicella, con la paura di diventare come una donna ….”
Tuttavia c’è questa luce che si estende, che indica una via (la sua Beatrice), e il risultato lo vediamo nel brano successivo; è la tendenza in sé a vivere secondo le leggi della vita.
T.I.A.A. N° 30
Sensazione di piacere e leggerezza su tutto il corpo, di pace interna e di distensione come quando si è sull’acqua del mare e ci si lascia cullare dalle onde e ci sentiamo sereni e liberi di farci cullare e coccolare”
Inizio apparentemente come nella precedente T.I.A.A., ma qui parla di ‘corpo’ e non ‘qualche cosa che è dentro al corpo’ e poi prosegue in modo molto diverso:
“Sensazione di ascolto e osservazione verso me stessa e parte interna ed esterna non sono divise ma una continuità, una complessità, un tutt’uno; ecco sono così, fatta da tante parti, ognuno ha una sua particolarità, il corpo accoglie questo messaggio, non sento due cose diverse, ma come se il mio corpo rispondesse al mio stato interno, c’è armonia fra corpo e psiche” …. Sento come ci fosse un adulto interno che indica la via lasciandoti libera”.
Come ultima eroina presentiamo una persona che è stata preda di una delle più profonde e spietate depressioni, osservate fra molte decine di casi.
Sua è anche la T.I.A.A. in cui si vede il viraggio fra vissuto di madre mostro, (“mia madre è un mostro, per cui “io sono una madre mostro”) a madre nutritiva che dà calore; viraggio che segna l’inizio della sua ripresa e rinascita e conseguente uscita dalla depressione.
Tale T.I.A.A. è riportata, anche con illustrazioni, nel libro [Gastaldo G Ottobre M. (2002 – 2008:” Dottore, posso guarire? - Come curare i mali oscuri”, pagg.101/106. Ed. Armando, collana Airda, Roma].
Invece, nella seduta, della quale qui riportiamo l’ultima parte, la paziente fa comparire come protagonista il bambino il cucciolo, il proprio puer.
La svolta verso l’integrazione del femminile con il maschile è compiuta dal proprio puer in quanto questa parte di sé possiede l’energia allo stato nascente, contiene anche l’orientamento insito nel DNA verso le leggi della vita ed infine, nella T.I.A.A. prima menzionata, ha fatto emergere ed ha captato il ricordo, registrato nell’amigdala, di madre tenera, affettuosa, protettiva, che dà calore e nutrimento.
Il bambino entra in scena rapidissimo, come una saetta, così come, subito dopo, è stata rapida e improvvisa l’uscita dalla depressione.
A questo bambino in lei, il compito di recuperare e accogliere come preziosissima la sua parte femminile, che aveva creduta terribile e distruttiva, e che quindi aveva rinnegato, con conseguente caduta nella depressione.
Al bambino il compito di ritrovare Beatrice che è sotto forma di perla, ma dapprima non la può vedere perché nascosta nell’ostrica ed è in un antro.
Anche Dante, nel trentesimo canto del Purgatorio, non riconosce Beatrice perché nascosta da un velo
Canto XXX
“Sovra di candido vel cinta d’uliva
Donna m’apparve, sotto verde manto
Vestita di color di fiamma viva”
Dante e il bambino devono immergersi nell’acqua purificatrice – Dante nel fiume Lete – e, a loro così purificati, finalmente si svela e possono contemplare, il loro tesoro; si apre la strada verso il loro ‘paradiso’.
Canto XXXIII
S’io avessi, lettor, più lungo spazio
Da scrivere i’ pur cantere’ in parte
Lo dolce ber che mai non m’avria sazio;
…………….
Io tornai dalla santissima onda
rifatto siccome piante novelle
Rinovellate di novella fronda,
puro e disposto a salire le stelle
T.I.A.A. N° 42
Adesso dal cielo, ho visto come una saetta, con la stessa intensità, scendere un bambino ed è andato dentro ad uno specchio d’acqua. Sembra sia arrivato con uno scopo ben preciso; infatti sposta delle piccole pietre, forse in cerca di una specie di tesoro, (non quale monete o oro), ma di qualche cosa che imprigioni la voglia di vivere; potrebbe andare in cerca di un’ostrica che sia riuscita a produrre, nel corso del tempo, una perla bellissima.
Adesso vedo un piccolo bagliore proveniente da un antro sotto la superfice di questo fiume e il bambino si dirige proprio là.”
Il bambino è colpito dal bagliore della nascosta perla come Dante è trafitto dal ‘bagliore’ della virtù della velata Beatrice, come nei versi prima citati:
“Tosto che nella vista mi percosse
L’alta virù che già m’avea trafitto”
“Il bambino prende in mano la perla con estrema delicatezza; la apprezza come un dono e quasi con umiltà va incontro a questo dono. L’appoggia vicino al cuore non so se per riuscire a spostare su di sé la stessa energia che l’ostrica è riuscita a utilizzare per formare la perla.
La tiene stretta in mano e risale.
L’acqua imprime sul suo corpo una forza tale che sembra spingerlo verso la superfice.
Lui arriva sulla riva, vedo la sabbia molto bianca, vedo il mare con un bel colore azzurro e lui si siede sulla riva del mare e rimane là ad ammirare il tesoro che è riuscito a scoprire in fondo al mare”
- Conclusione
Abbiamo raccolto e accolto le ‘umane commedie’ di centinaia di questi EROI, con più di quindicimila loro T.I.A.A. registrati, trascritti e catalogati.
Ognuno di essi non si è limitato ad una, seppur importante riflessione sulla vita e sul viaggio proprio e altrui, ma ha COSTRUITO e percorso, tappa per tappa, nel loro immaginario e in piena coscienza, soffrendo e gioendo, un loro personale, intimo, inimitabile e irripetibile viaggio.
Questo non assomiglia e non può assomigliare a quello delineato nell’Asino d’oro di Apuleio, nella Divina Commedia di Dante, nel Signore degli anelli di Tolkien, nella Storia Infinita di Ende, in Pinocchio di Collodi, in Harry Potter di Rowling e in mille altri.
Essi documentano, con i profondi cambiamenti del loro personale modo di vivere, il cammino di armonizzazione psichica e di integrazione di strutture cerebrali che la sottendono.
Certamente questi nostri eroi non possono paragonarsi all’EROE Sommo Poeta; pur tuttavia, con Dante e gli altri artisti e i miti, leggende e favole e alcune prassi psicoterapeutiche, essi indicano e testimoniano una via – (coesistenza, collaborazione di immaginario/coscienza) - per un futuro migliore, per quell’umanità che è disposta a percorrerla.
A Dante e anche a ai nostri Eroi la nostra gratitudine.
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