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9.9) dio denaro
Nella riindividuazione la ‘sapienza biologica’ antidoto al ‘vitello d’oro’.
Giovanni Gastaldo - Miranda Ottobre
A.I.R.D.A.
Alcuni anni fa, in un piccolo sondaggio, chiedemmo a degli adolescenti (12-16 anni): “cosa vorresti per essere felice?” Le risposte furono: “avere uno scooter”, oppure “avere una consolle elettronica, avere la ragazza o il ragazzo”; comunque fosse la loro scelta, premettevano il verbo avere.
A uguale domanda gli adolescenti di Samoa, a Margaret Mead (1954-2007), rispondevano: “essere in armonia con gli altri ragazzi” o altre risposte che comunque contenevano il verbo essere.
Nel cervello/psiche degli uni, l’abbinamento era: felicità = avere: avere qualche cosa, qualche realtà; nel cervello/psiche degli altri: felicità = essere, cioè essere in un certo modo.
Il tendere alla felicità è una potente molla naturale che porta, in modo conscio o inconscio, a coordinare tutto un modo di essere, di agire, di interagire, di vivere, per realizzarla: ciò che s’intende per felicità determina lo stile di vita.
I gruppi umani, nei millenni, hanno fatto una ricerca continua per poter vivere al meglio in questo pianeta: hanno sperimentato varie soluzioni, dando origine a tipi diversi di civiltà. Ogni soluzione presentava, o presenta, lati ritenuti positivi e lati ritenuti negativi. Certi tipi di civiltà sono risultati vincenti, nel senso che le popolazioni detentrici di quel modo di vivere, di organizzarsi socialmente e politicamente, sono prevalse sulle altre.
Per usare una terminologia di Fromm (1985) in “Anatomia della distruttività umana”, possiamo dire che fra le “società che amano la vita”, le “società aggressive non distruttive” (con qualche spunto più o meno forte di distruttività), e le “società distruttive”, sono prevalse le seconde.
Fra queste, la nostra attuale civiltà nella quale noi constatiamo il prevalere del binomio: felicità = avere. In esse avvenne che, essendo gli abitanti diventati così numerosi da non poter vivere d’inverno solo cacciando e raccogliendo prodotti spontanei, inventarono l’agricoltura e la pastorizia. D’inverno si poteva sopravvivere solo avendo scorte accumulate nel periodo estivo.
Per essere felici bisognava vivere e per vivere sopravvivere e per sopravvivere bisognava avere: avere territori o animali, mezzi di produzione, forza lavoro; bisognava difendere tutto ciò, conservarlo e avere l’autorità per farlo. Cambiò così il modo di vivere.
Si inventò il denaro, che divenne il simbolo dell’avere e ne assunse tutta la valenza.
Nel plurimillenario cammino di costruzione di una civiltà, le necessità vitali contribuirono a costruire modalità di vita, regole individuali e sociali, organizzazioni di un certo tipo, e tutto ciò supportò modalità educative, con conduzione dei figli verso determinate esperienze durante la loro età evolutiva.
La neurobiologia moderna c’insegna che gli insiemi di esperienze prevalenti sono quelli che determinano, nell’età evolutiva, ed in particolare nella prima infanzia, la moltiplicazione delle sinapsi prima, e la potatura delle sinapsi non utili poi; e quindi la costruzione di quei circuiti neuronali che sono alla base del nostro modo istintivo emotivo di agire e reagire nella vita (Bloom E., Lazerson A. 1990, Kandel 1998, Maffei 1998,).
Da trent’anni nei nostri corsi di Training Autogeno (Gastaldo Ottobre, maggio 2008), nei quali viene dato ampio spazio al concetto di Autos-Geno (ciò che si autogenera), abbiamo insegnato a più di tremila persone a fare un’analisi puntuale degli atteggiamenti profondi, emergenti nei propri dialoghi interni. Risultarono prevalenti quegli atteggiamenti, che direttamente o indirettamente erano determinati dal binomio: Felicità = avere, e la ovvia compulsione a mettere al centro della propria vita il binomio: produzione-consumo e conseguenti spinte potenti, che possono determinare anche tensione eccessiva e a volte distruttiva e autodistruttiva.
Pensiamo non sia possibile dare un giudizio di valore al nostro tipo di civiltà e agli atteggiamenti profondi che in ciascuno di noi essa favorisce; pensiamo che tanto meno sia compito di uno psicoterapeuta dare giudizi sul tipo di stile e scelte personali di vita e di eticità che i pazienti vogliono avere.
Abbiamo tuttavia constatato che il singolo individuo, che aveva perso il proprio equilibrio in quanto il piatto della bilancia felicità = avere prevaleva troppo nettamente su quello felicità = essere, con un adatto lavoro psicologico ha potuto ritrovarlo. Interessante notare che tale lavoro non è mai stato intenzionalmente focalizzato su questo, né dal paziente, né dal terapeuta.
Abbiamo constatato che quando, con adeguato allenamento (training), le persone imparano a lasciare emergere ciò che nasce spontaneamente (autos - geno), mettendo da parte ogni direttività dell’io, ogni pretesa, ogni tentativo di autopersuasione, allora succede, senza che sia voluto, qualche cosa di straordinario: fa capolino una sapienza biologica (Gastaldo Ottobre maggio 2007, maggio 2008,) che riporta l’individuo, a volte con grande sorpresa della persona stessa, ad essere bionomico, ad essere secondo le leggi della vita (Schultz I. H. 2001). Leggi che sono contenute nella struttura cerebrale primitiva, archetipica, preesistente alla plasmazione della stessa; plasmazione determinata dalle esperienze conseguenti a stili educativi prevalenti nel tipo di civiltà nel quale siamo immersi.
Nelle sedute di Training Autogeno Avanzato (Gastaldo Ottobre 1994 - maggio 2008) (sedute non dirette, ma autogene) le persone, che per mesi si sono allenate a lasciare emergere in piena coscienza il proprio materiale onirico durante “sogni da svegli”, svelano a se stessi il loro mondo interiore sconosciuto e le dinamiche che lo caratterizzano.
Siccome tali sedute vengono regolarmente registrate, e poi dagli interessati stessi trascritte, abbiamo un archivio di circa quindicimila vissuti catalogati a seconda delle tematiche sviluppate.
Da tali sedute emerge in primo luogo la tipologia del malessere profondo che, solo in parte, coincide con quello denunciato dal paziente ai primi colloqui (Gastaldo Ottobre 2009).
I “mali” che più frequentemente vengono focalizzati sono: La rabbia, la paura - in particolare della morte, della castrazione, della penetrazione - invasione, del giudizio, di annichilimento - la distruttività propria ed altrui, la solitudine, l’abbandono, il rifiuto, le regole castranti, il sentimento di colpa, la omosessualità egodistonica, la incapacità di accettare la propria ombra, di riconoscersi, etc….
Poi, man mano, emergono i simboli degli insiemi di esperienze che, nell’età formativa, hanno forgiato i circuiti neuronali alla base delle dinamiche che sottendono i “dolorosi stili di vita”. Spesso risulta chiaro che una certa responsabilità sia da attribuirsi a circostanze ed atteggiamenti educativi connessi con l’eccessivo prevalere dei binomi: felicità = avere e produzione/consumo, in quanto ciò penalizza fortemente la quantità e la qualità delle relazioni, che sono fondamentali nella costruzione di una personalità sana.
Facciamo un solo esempio: l’homo sapiens sapiens appartiene alla categoria degli animali inetti; animali che hanno bisogno di avere un rapporto costante con la figura materna per il periodo della loro completa inettitudine (Gastaldo Ottobre 2003). L’assenza prolungata della figura di riferimento fa scattare nel loro cervello/psiche un meccanismo di allarme, di angoscia estrema in quanto si sono formati, nel processo evolutivo, circuiti neuronali di segnalazione (intrapsichica e rivolta all’esterno) del pericolo di essere predati.
Il grido, il pianto d’angoscia servono per richiamare la madre se è nelle vicinanze.
Tale forte emozione dipende da un circuito neuronale che è stato essenziale alla sopravvivenza della specie.
L’attivazione frequente o prolungata di tali circuiti porta alla proliferazioni di sinapsi che determina il loro rafforzamento patologico. Ad esempio l’attivazione ripetuta del circuito della ‘paura del predatore’ (Gastaldo Ottobre 2002) rafforza il circuito della normale, genetica paura della morte. Ciò comporta aspetti patologici che si potranno slatentizzare, in periodi di maggior tensione nella vita adulta, con attacchi di panico, o paure direttamente o indirettamente connesse alla paura della morte o con compensi della stessa, come il bisogno esagerato di potere e di denaro.
È normale che l’adulto provi temporaneamente perdita di motivazione a vivere se ha perso la persona, o la realtà, che rappresentava il fulcro e il motivo quasi assoluto della sua vita. Per il cucciolo di animale inetto tale realtà è la figura materna. Nelle assenze frequenti e prolungate di questa, il vissuto del bambino è anche abbandono e perdita e ciò esaspera i normali circuiti della tristezza e della rassegnazione, quindi assenza di un motivo per cui vivere. Ciò può tradursi nella vita adulta in manifestazioni patologiche appartenenti alla galassia delle depressioni; di quelle depressioni che spesso vengono considerate genetiche.
Ancora il vissuto, nelle assenze della figura materna è di danno. Ciò rafforza il normale, genetico circuito della rabbia, in quanto questa è l’emozione connessa al danno e serve nella psiche normale per avere la possibilità di stoppare chi danneggia. Tale circuito, patologicamente rafforzato, procura incapacità di gestire tale emozione, con manifestazioni esagerate rispetto alla situazione reale, oppure blocco completo della stessa che, rivolta all’interno, può estrinsecarsi con autodanneggiamenti somatici.
Un circuito esagerato della rabbia, inoltre si mescola quasi sempre alla depressione, rendendo quest’ultima meno curabile.
In migliaia di “sogni da svegli” pazienti hanno raccontato a se stessi, e quindi anche a noi, il rapporto di causa effetto fra le citate manifestazioni patologiche e le assenze della figura materna nel secondo semestre di vita (Gastaldo/Ottobre 1987). Tutto ciò comunque era già stato rilevato da studiosi di rango internazionale come ad es. Renè Spitz negli anni 60 ( Spitz R. 1976).
Nel cucciolo dell’homo sapiens sapiens il momento di maggior esposizione ad effetti patologici per assenza della figura di riferimento, è attorno all’ottavo mese di vita e più genericamente nel secondo semestre del primo anno; e ciò fino a quando non avviene l’acquisizione psichica che un oggetto seppure non visibile continua ad esserci; precedentemente a tale acquisizione l’oggetto mancante, cioè la figura che si occupa costantemente di lui, è percepito come oggtto cattivo e non è sufficientemente compensato dalla sostituzione con altre figure pur valide.
Il dictat “produci per avere ” di oggi, ma in maniera minore anche nel passato, è la causa della discontinuità di relazione fondante con la figura materna nel periodo d’imprinting. Vedi le madri che riprendono il lavoro nel secondo semestre di vita del loro bambino.
Nei “sogni da svegli” in stato autogeno, il tema e lo svolgimento dello stesso non sono né scelti né diretti dall’io del paziente, né scelti e diretti dal terapeuta.
Tutto il cammino avviene in modo autogeno. L’indicazione è: “lascia al cervello carta bianca” (Luthe 2001). È il cervello/psiche che determina la strada.
Questa è sempre molto creativa, imprevedibile; in qualche decina di sedute porta il soggetto a verbalizzare vissuti quasi sempre inconsci riguardanti problemi, paure, rabbie conflitti che si sono strutturati durante la vita ed in particolare durante la prima infanzia. A sorpresa si attuano meccanismi di guarigione (Gastaldo Ottobre 1987, 2002, maggio 2007) (da noi accuratamente individuati e descritti) che portano il soggetto a riarmonizzarsi e imboccare la via di una soddisfacente individuazione.
Abbiamo dedotto che tale intelligente, straordinario e stupefacente viaggio sia dovuto alla struttura originaria del cervello, sviluppata in milioni di anni di evoluzione, preesistente alle aquisizioni culturali di qualche migliaio di anni, e quelle più recenti dell’età evolutiva; la struttura del viaggio è dato cioè dalla SAPIENZA BIOLOGICA, DALLA FORZA DELLA VITA.
Così possiamo concludere con il Titolo del nostro lavoro:
NELLA RIINDIVIDUAZIONE LA SAPIENZA BIOLOGICA DIVENTA ANTIDOTO AL “VITELLO D’ORO-
Bibliografia
A uguale domanda gli adolescenti di Samoa, a Margaret Mead (1954-2007), rispondevano: “essere in armonia con gli altri ragazzi” o altre risposte che comunque contenevano il verbo essere.
Nel cervello/psiche degli uni, l’abbinamento era: felicità = avere: avere qualche cosa, qualche realtà; nel cervello/psiche degli altri: felicità = essere, cioè essere in un certo modo.
Il tendere alla felicità è una potente molla naturale che porta, in modo conscio o inconscio, a coordinare tutto un modo di essere, di agire, di interagire, di vivere, per realizzarla: ciò che s’intende per felicità determina lo stile di vita.
I gruppi umani, nei millenni, hanno fatto una ricerca continua per poter vivere al meglio in questo pianeta: hanno sperimentato varie soluzioni, dando origine a tipi diversi di civiltà. Ogni soluzione presentava, o presenta, lati ritenuti positivi e lati ritenuti negativi. Certi tipi di civiltà sono risultati vincenti, nel senso che le popolazioni detentrici di quel modo di vivere, di organizzarsi socialmente e politicamente, sono prevalse sulle altre.
Per usare una terminologia di Fromm (1985) in “Anatomia della distruttività umana”, possiamo dire che fra le “società che amano la vita”, le “società aggressive non distruttive” (con qualche spunto più o meno forte di distruttività), e le “società distruttive”, sono prevalse le seconde.
Fra queste, la nostra attuale civiltà nella quale noi constatiamo il prevalere del binomio: felicità = avere. In esse avvenne che, essendo gli abitanti diventati così numerosi da non poter vivere d’inverno solo cacciando e raccogliendo prodotti spontanei, inventarono l’agricoltura e la pastorizia. D’inverno si poteva sopravvivere solo avendo scorte accumulate nel periodo estivo.
Per essere felici bisognava vivere e per vivere sopravvivere e per sopravvivere bisognava avere: avere territori o animali, mezzi di produzione, forza lavoro; bisognava difendere tutto ciò, conservarlo e avere l’autorità per farlo. Cambiò così il modo di vivere.
Si inventò il denaro, che divenne il simbolo dell’avere e ne assunse tutta la valenza.
Nel plurimillenario cammino di costruzione di una civiltà, le necessità vitali contribuirono a costruire modalità di vita, regole individuali e sociali, organizzazioni di un certo tipo, e tutto ciò supportò modalità educative, con conduzione dei figli verso determinate esperienze durante la loro età evolutiva.
La neurobiologia moderna c’insegna che gli insiemi di esperienze prevalenti sono quelli che determinano, nell’età evolutiva, ed in particolare nella prima infanzia, la moltiplicazione delle sinapsi prima, e la potatura delle sinapsi non utili poi; e quindi la costruzione di quei circuiti neuronali che sono alla base del nostro modo istintivo emotivo di agire e reagire nella vita (Bloom E., Lazerson A. 1990, Kandel 1998, Maffei 1998,).
Da trent’anni nei nostri corsi di Training Autogeno (Gastaldo Ottobre, maggio 2008), nei quali viene dato ampio spazio al concetto di Autos-Geno (ciò che si autogenera), abbiamo insegnato a più di tremila persone a fare un’analisi puntuale degli atteggiamenti profondi, emergenti nei propri dialoghi interni. Risultarono prevalenti quegli atteggiamenti, che direttamente o indirettamente erano determinati dal binomio: Felicità = avere, e la ovvia compulsione a mettere al centro della propria vita il binomio: produzione-consumo e conseguenti spinte potenti, che possono determinare anche tensione eccessiva e a volte distruttiva e autodistruttiva.
Pensiamo non sia possibile dare un giudizio di valore al nostro tipo di civiltà e agli atteggiamenti profondi che in ciascuno di noi essa favorisce; pensiamo che tanto meno sia compito di uno psicoterapeuta dare giudizi sul tipo di stile e scelte personali di vita e di eticità che i pazienti vogliono avere.
Abbiamo tuttavia constatato che il singolo individuo, che aveva perso il proprio equilibrio in quanto il piatto della bilancia felicità = avere prevaleva troppo nettamente su quello felicità = essere, con un adatto lavoro psicologico ha potuto ritrovarlo. Interessante notare che tale lavoro non è mai stato intenzionalmente focalizzato su questo, né dal paziente, né dal terapeuta.
Abbiamo constatato che quando, con adeguato allenamento (training), le persone imparano a lasciare emergere ciò che nasce spontaneamente (autos - geno), mettendo da parte ogni direttività dell’io, ogni pretesa, ogni tentativo di autopersuasione, allora succede, senza che sia voluto, qualche cosa di straordinario: fa capolino una sapienza biologica (Gastaldo Ottobre maggio 2007, maggio 2008,) che riporta l’individuo, a volte con grande sorpresa della persona stessa, ad essere bionomico, ad essere secondo le leggi della vita (Schultz I. H. 2001). Leggi che sono contenute nella struttura cerebrale primitiva, archetipica, preesistente alla plasmazione della stessa; plasmazione determinata dalle esperienze conseguenti a stili educativi prevalenti nel tipo di civiltà nel quale siamo immersi.
Nelle sedute di Training Autogeno Avanzato (Gastaldo Ottobre 1994 - maggio 2008) (sedute non dirette, ma autogene) le persone, che per mesi si sono allenate a lasciare emergere in piena coscienza il proprio materiale onirico durante “sogni da svegli”, svelano a se stessi il loro mondo interiore sconosciuto e le dinamiche che lo caratterizzano.
Siccome tali sedute vengono regolarmente registrate, e poi dagli interessati stessi trascritte, abbiamo un archivio di circa quindicimila vissuti catalogati a seconda delle tematiche sviluppate.
Da tali sedute emerge in primo luogo la tipologia del malessere profondo che, solo in parte, coincide con quello denunciato dal paziente ai primi colloqui (Gastaldo Ottobre 2009).
I “mali” che più frequentemente vengono focalizzati sono: La rabbia, la paura - in particolare della morte, della castrazione, della penetrazione - invasione, del giudizio, di annichilimento - la distruttività propria ed altrui, la solitudine, l’abbandono, il rifiuto, le regole castranti, il sentimento di colpa, la omosessualità egodistonica, la incapacità di accettare la propria ombra, di riconoscersi, etc….
Poi, man mano, emergono i simboli degli insiemi di esperienze che, nell’età formativa, hanno forgiato i circuiti neuronali alla base delle dinamiche che sottendono i “dolorosi stili di vita”. Spesso risulta chiaro che una certa responsabilità sia da attribuirsi a circostanze ed atteggiamenti educativi connessi con l’eccessivo prevalere dei binomi: felicità = avere e produzione/consumo, in quanto ciò penalizza fortemente la quantità e la qualità delle relazioni, che sono fondamentali nella costruzione di una personalità sana.
Facciamo un solo esempio: l’homo sapiens sapiens appartiene alla categoria degli animali inetti; animali che hanno bisogno di avere un rapporto costante con la figura materna per il periodo della loro completa inettitudine (Gastaldo Ottobre 2003). L’assenza prolungata della figura di riferimento fa scattare nel loro cervello/psiche un meccanismo di allarme, di angoscia estrema in quanto si sono formati, nel processo evolutivo, circuiti neuronali di segnalazione (intrapsichica e rivolta all’esterno) del pericolo di essere predati.
Il grido, il pianto d’angoscia servono per richiamare la madre se è nelle vicinanze.
Tale forte emozione dipende da un circuito neuronale che è stato essenziale alla sopravvivenza della specie.
L’attivazione frequente o prolungata di tali circuiti porta alla proliferazioni di sinapsi che determina il loro rafforzamento patologico. Ad esempio l’attivazione ripetuta del circuito della ‘paura del predatore’ (Gastaldo Ottobre 2002) rafforza il circuito della normale, genetica paura della morte. Ciò comporta aspetti patologici che si potranno slatentizzare, in periodi di maggior tensione nella vita adulta, con attacchi di panico, o paure direttamente o indirettamente connesse alla paura della morte o con compensi della stessa, come il bisogno esagerato di potere e di denaro.
È normale che l’adulto provi temporaneamente perdita di motivazione a vivere se ha perso la persona, o la realtà, che rappresentava il fulcro e il motivo quasi assoluto della sua vita. Per il cucciolo di animale inetto tale realtà è la figura materna. Nelle assenze frequenti e prolungate di questa, il vissuto del bambino è anche abbandono e perdita e ciò esaspera i normali circuiti della tristezza e della rassegnazione, quindi assenza di un motivo per cui vivere. Ciò può tradursi nella vita adulta in manifestazioni patologiche appartenenti alla galassia delle depressioni; di quelle depressioni che spesso vengono considerate genetiche.
Ancora il vissuto, nelle assenze della figura materna è di danno. Ciò rafforza il normale, genetico circuito della rabbia, in quanto questa è l’emozione connessa al danno e serve nella psiche normale per avere la possibilità di stoppare chi danneggia. Tale circuito, patologicamente rafforzato, procura incapacità di gestire tale emozione, con manifestazioni esagerate rispetto alla situazione reale, oppure blocco completo della stessa che, rivolta all’interno, può estrinsecarsi con autodanneggiamenti somatici.
Un circuito esagerato della rabbia, inoltre si mescola quasi sempre alla depressione, rendendo quest’ultima meno curabile.
In migliaia di “sogni da svegli” pazienti hanno raccontato a se stessi, e quindi anche a noi, il rapporto di causa effetto fra le citate manifestazioni patologiche e le assenze della figura materna nel secondo semestre di vita (Gastaldo/Ottobre 1987). Tutto ciò comunque era già stato rilevato da studiosi di rango internazionale come ad es. Renè Spitz negli anni 60 ( Spitz R. 1976).
Nel cucciolo dell’homo sapiens sapiens il momento di maggior esposizione ad effetti patologici per assenza della figura di riferimento, è attorno all’ottavo mese di vita e più genericamente nel secondo semestre del primo anno; e ciò fino a quando non avviene l’acquisizione psichica che un oggetto seppure non visibile continua ad esserci; precedentemente a tale acquisizione l’oggetto mancante, cioè la figura che si occupa costantemente di lui, è percepito come oggtto cattivo e non è sufficientemente compensato dalla sostituzione con altre figure pur valide.
Il dictat “produci per avere ” di oggi, ma in maniera minore anche nel passato, è la causa della discontinuità di relazione fondante con la figura materna nel periodo d’imprinting. Vedi le madri che riprendono il lavoro nel secondo semestre di vita del loro bambino.
Nei “sogni da svegli” in stato autogeno, il tema e lo svolgimento dello stesso non sono né scelti né diretti dall’io del paziente, né scelti e diretti dal terapeuta.
Tutto il cammino avviene in modo autogeno. L’indicazione è: “lascia al cervello carta bianca” (Luthe 2001). È il cervello/psiche che determina la strada.
Questa è sempre molto creativa, imprevedibile; in qualche decina di sedute porta il soggetto a verbalizzare vissuti quasi sempre inconsci riguardanti problemi, paure, rabbie conflitti che si sono strutturati durante la vita ed in particolare durante la prima infanzia. A sorpresa si attuano meccanismi di guarigione (Gastaldo Ottobre 1987, 2002, maggio 2007) (da noi accuratamente individuati e descritti) che portano il soggetto a riarmonizzarsi e imboccare la via di una soddisfacente individuazione.
Abbiamo dedotto che tale intelligente, straordinario e stupefacente viaggio sia dovuto alla struttura originaria del cervello, sviluppata in milioni di anni di evoluzione, preesistente alle aquisizioni culturali di qualche migliaio di anni, e quelle più recenti dell’età evolutiva; la struttura del viaggio è dato cioè dalla SAPIENZA BIOLOGICA, DALLA FORZA DELLA VITA.
Così possiamo concludere con il Titolo del nostro lavoro:
NELLA RIINDIVIDUAZIONE LA SAPIENZA BIOLOGICA DIVENTA ANTIDOTO AL “VITELLO D’ORO-
Bibliografia
- Bloom E., Laserson A., (1990) Il cervello la mente e il comportamento, Origlio, Ciba Geigy Edizioni.
- Fromm E., (1985), Anatomia della distruttività umana, Arnoldo Mondatori Editore, Milano.
- Gastaldo G. Ottobre M. (1987), Nel labirinto con il filo d’Arianna - lo strutturarsi delle vie dell’energia nell’età evolutiva, Piovan Editore Abano Terme (PD).
- Gastaldo G., Ottobre M., ( 1996), La Psicoterapia Autogena: attuale sistema psicoterapeutico. Attualità in Psicologia, anno XI-N°2. EUR; Roma.
- Gastaldo G. Ottobre M., (2002), Dottore, posso guarire?- Come curare i mali oscuri, Armando Editore, Collana Airda, Roma.
- Gastaldo G. Ottobre M. Gastaldo E., (2003), Conoscere per saper educare; da zero a tre anni ed oltre, Collana Airda, Armando Editore, Roma.
- GastaldoG., Ottobre M. (maggio 2007): l’Archetipo degli Archetipi: come opera nella terapia immaginativa analitica autogena. Nuove prospettive in psicologia, anno XXII, fascicolo 37, numero 1, maggio 2007 pagg. 13/20.
- Gastaldo G. Ottobre M., (1994 - marzo 2008), La psicoterapia autogena in quattro stadi - l’appuntamento con se stessi, Armando Editore, Collana Airda, Roma.
- Gastaldo G. Ottobre M., (2009): Il ‘Male’ come tendenza antibionomica nel Training Autogeno Avanzato in: Il male - categoria morale, patologia psichica, realtà umana, acura di Widmann C., Magi Edizioni, Roma. (in fase di stampa).
- Kandel E. R. Schwartz J. H., Jessel T. M., Principi di neuroscienze, Casa editrice Ambrosiana, Milano.
- Luthe W., (2001) Autogenic Therapy, by The British Autogenic Society, M.D. Editor, Printed end bound in England by The Bath Press.
- Maffei L., (1998), Il mondo del cervello, GLF Editori Laterza, Bari.
- Mead M., (1954-2007) L’adolescenza in Samoa, Giunti Editore, Firenze
- Schultz I. H., (2001), Psicoterapia Bionomica - un esperimento fondamentale, Edizione italiana a cura di Orrù W., Ottobre M., Biblioteca Masson, Milano.
- Spitz R. (1976), Il primo anno si vita del bambino, Giunti Barbera, Firenze.
Contatti:
AIRDA, Studio Gastaldo Ottobree, Centro di Ricerca - Via Chiesa di Ponzano 8 - 31050 Ponzano V.to - TREVISO -,
Tel/fax. 0422 969034, tel. 0422 440862, Cell. 3478214314, E- Mail: [email protected]
www.airda.it - www.psicoterapia-autogena.it - www.gastaldo-ottobre.it - www.trainingautogeno-bionomico
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